George Orwell e il comunismo

orwelldi Nino Mallamaci* - Leggendo i due romanzi - nel linguaggio attuale distopici - di George Orwell, La fattoria degli animali e 1984, si rimane colpiti non solo dalla bellezza della scrittura in sé. Entrambi rappresentano un atto d'accusa profetico versus il totalitarismo, e rappresentano, specialmente il secondo, una realtà in cui l'individuo è completamente annientato dal potere dispotico, che tutto vede e tutto sa, che interviene nella vita delle persone e la determina senza lasciare alcun margine per scelte autonome. Quante e quali sono le analogie con la situazione contemporanea lo possiamo verificare facilmente. Tuttavia, Orwell è sì veggente, ma fino a un certo punto. Nel senso che le due pubblicazioni, avvenute nel 1945 e nel 1948, sono il frutto dell'osservazione della realtà del precorso decennio da parte dello scrittore inglese. In un periodo in cui, quindi, i regimi fascista e nazista, e quello staliniano, avevano già mostrato al mondo le loro caratteristiche peculiari.
Ma per comprendere meglio qual è l'humus nel quale affondano le loro radici La fattoria e 1984 bisogna tornare indietro nel tempo, fino alla guerra civile che sconvolse la Spagna dal 1936 al 1939. Lo scrittore pubblica, nel 1938, Omaggio alla Catalogna, frutto della sua esperienza maturata partecipando ai combattimenti al fronte, dalla parte antifranchista ovviamente, nelle milizie del POUM (Partido Obrero de Unificación Marxista, Partito Operaio di Unificazione Marxista), e alle Giornate di maggio a Barcellona, quando si verificarono violenti scontri, con centinaia di morti, che vedevano, per semplificare, trotskisti, sindacato (CNT) e movimento politico (FAI) anarchici, da una parte, e comunisti stalinisti (PSUC), insieme a parte del Governo repubblicano, dall'altra.
Orwell si era recato in Spagna, insieme alla moglie, come fecero migliaia di persone provenienti da molti Paesi, per difendere la giovane Repubblica dall'offensiva del di li a poco dittatore Francisco Franco, e rimediò anche un gravissimo ferimento che lo mise fuori gioco e lo ricondusse in patria. La scelta dello scrittore era stata determinata dalla voglia di smettere i panni da spettatore per calarsi nella battaglia vera contro un nemico certo e visibile, il fascismo appunto, ciò al culmine di un percorso che l'aveva visto allontanarsi dalla classe sociale di appartenenza per scendere a dare manforte alle lotte dei derelitti, dei deboli, degli emarginati.
I Trenta, è bene rammentarlo, non furono soltanto gli anni della fulgore nazifascista. Essi furono anche gli anni delle purghe staliniane; dei processi – farsa con le confessioni estorte a chi cadeva in disgrazia; delle accuse di social fascismo che i comunisti di stretta osservanza staliniana rivolgevano ai socialisti e a chiunque si mostrasse critico nei confronti della dottrina del "socialismo in un solo Paese"; dei partiti comunisti della Terza Internazionale piegati (come avvenne anche successivamente) alle esigenze e ai diktat del grande partito fratello dell'Unione sovietica, a scapito anche delle esigenze delle classi lavoratrici delle nazioni di appartenenza.
Fu in questo clima generale che, anche in Spagna, i comunisti staliniani adattarono la loro strategia all'imperativo di non disturbare il gigante sovietico, arrivando a provocare lo scioglimento del POUM e dei soggetti sindacali e politici anarchici e l'arresto, seguito in molti casi dall'uccisione, di migliaia di militanti sinceramente antifascisti. L'accusa infamante, assolutamente inventata e pompata dalla propaganda dei giornali comunisti, fu addirittura quella di essere in combutta con i franchisti, in particolare, e con i fascisti e i nazisti in generale. Tutto ciò perché l'Unione sovietica non aveva alcun interesse acché in Spagna lo spirito rivoluzionario, vivo nella popolazione, si traducesse in pratica, disturbando i paesi capitalisti suoi alleati quali Francia e Inghilterra.
Orwell descrive la vicenda sua e dei suoi compagni con la maestria che conosciamo, nella prima parte. E per fare comprendere fino in fondo i drammatici accadimenti di quel periodo, fa seguire al racconto vero e proprio due appendici nelle quali spiega chiaramente gli avvenimenti dal punto di vista politico, della lotta senza esclusioni di colpi tra gli staliniani e i loro oppositori di sinistra: trotskisti, socialisti, anarchici.

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Quello che viene fuori, alla fine, è la grande, definitiva disillusione, dettata dalla constatazione che i dirigenti comunisti - Orwell ne sottolinea la differenza con la gran parte dei militanti, ma non con tutti (potevano non sapere?) - mostravano, quando gliene se offriva l'occasione, di avere poco a cuore le condizioni dei proletari, della classe operaia, dei braccianti sfruttati nelle campagne, dei miserabili e degli ultimi in genere. La grande ipocrisia!
Alla fine del racconto vero e proprio, l'autore descrive il mesto ritorno in Inghilterra, attraverso la Francia, che culmina in un delizioso, poetico acquerello in cui dipinge la campagna tranquilla del sud del Paese, i luoghi della sua infanzia, idealmente contrapposta alle vicende tristi e dolorose che attraversano il continente europeo in rapido avvicinamento alla catastrofe della seconda guerra mondiale.
Dopo qualche anno, ecco uscire dalla penna del grande scrittore socialista – anarchico – libertario i due capolavori della sua definitiva consacrazione. E nella Fattoria degli animali Orwell riproporrà, ampliandoli, l'ambientazione, i riti, l'atmosfera, già tracciati in un passaggio di Omaggio alla Catalogna, quando narra delle riunioni che si tenevano nella stalla adibita ad alloggio per sé e i suoi compagni, con discussioni che si protraevano per ore, fino a notte, e si arrovellavano intorno a minuzie dialettiche che lo annoiavano profondamente, frutto di divisioni e lacerazioni tra sigle e siglette, col risultato di rendere poco o punto efficace il lavoro per raggiungere l'obiettivo ultimo: quello di liberare tutti gli uomini dalle catene del capitalismo selvaggio.
Ecco. Se ripenso alle assemblee cui ho partecipato tante volte, e se immagino, per venire ai nostri giorni, gli incontri tra le varie forze – grandi, piccole, minuscole - della sinistra, tenutisi nei mesi scorsi per trovare un'intesa in vista delle europee. Se rifletto sulla disgregazione tra queste forze, per ragioni di dettaglio o, peggio, di meschino interesse, nonostante l'enorme posta in gioco in palio, non posso che augurarmi che il risultato finale non somigli neanche lontanamente a quello della guerra civile di Spagna.

*Avvocato e scrittore