I Giordana e la Ranzi incantano Gioiosa

20190121 094349di Enzo Romeo - "Andiamo?", chiede il figlio al padre.
"Andiamo", risponde rassegnato il secondo.
È un momento struggente, bellissimo. Un pugno nello stomaco, che segna un passaggio nevralgico de LE ULTIME LUNE, la piece di Furio Bordon, portata in scena per la prima volta nel 1995 da Marcello Mastroianni e da dieci anni tradotta praticamente in tutto il mondo.
In questa stagione teatrale il protagonista è l'immenso Andrea Giordana. È lui, nei panni di un anziano e stanco professore universitario, a pronunciare quell' "andiamo" rassegnato. E in sala, vi assicuro, la gente piange. È l'effetto di una magistrale interpretazione, sostenuta dal talento degli altri due attori in scena: la splendida e sempre più brava Galatea Ranzi, che interpreta la moglie defunta del professore, venuta a mancare precocemente e con la quale l'anziano uomo dialoga, e il degno erede Luchino Giordana, nei panni del figlio.
La trama è semplice: il professore, per sua scelta, decide di trasferirsi in una casa di riposo e lo propone, anche se non tanto convintamente, al figlio, sposato con prole. Il giovane sotto sotto non disdegna la cosa, provocando amarezza nel padre, che trova conforto nei dialoghi costanti che ha con la miglie defunta.
Da qui si sviluppa una recitazione e una storia che coniuga amore, cinismo, ironia e, inevitabilmente, rimpianti.
Il protagonista affida al confronto con la donna della sua vita le riflessioni sui sentimenti che li hanno visti crescere insieme, sulla vecchiaia e sulla morte. Ma c'è anche la sottolineatura sul difficile rapporto tra padre e figlio che, tuttavia, non e' affatto privo d'amore.
Dalla dimensione ultraterrena la moglie esorta il professore di non andare all'ospizio, di comunicare al figlio che quell'idea maturata ed esternata poco tempo prima, in realtà non corrisponde a ciò che desidera.
Il professore non riuscirà a confessarlo, in un confronto, triste e lacerante con il suo ragazzo; magari lo farà intendere e, quando pronuncerà il suo rassegnato "andiamo", si avvierà a vivere quei pochi centimetri di futuro che gli restano ( le ultime lune appunto) lontano dalla sua casa, dai suoi libri, dai suoi nipoti, continuando ad ascoltare in cuffia e non più dal suo vecchio giradischi l'amato Bach.
Si addormentera' nel sonno eterno in una stanza di Villa Delizia che, a parte la denominazione, resta pur sempre una casa di riposo.

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Il monologo finale è tragico e meraviglioso e Giordana tiene il pubblico con gli occhi sbarrati e rigato dal pianto davanti alla sua performance. Che è quella di un fuoriclasse del palcoscenico.
Galatea Ranzi conferma, ammesso che ce ne fosse bisogno, il suo immenso talento e le sue lacrime di commozione a fine spettacolo, per gli applausi del pubblico del teatro di Gioiosa Jonica, sono la traccia di cosa significhi essere attori di teatro.
Luchino Giordana è semplicemente bravo, degno figlio del padre e degno nipote del nonno e della nonna paterni. Provoca brividi l'abbraccio trattenuto che rivolge alle spalle del suo genitore, mentre avviandosi insieme verso la casa di riposo, gli porge il cappotto.
Pulita e senza fronzoli la regia di Daniele Salvo, che consente agli attori, attraverso un montaggio teatrale perfetto, la massima espressione d'arte recitativa. Essenziali e ben rappresentative le scene.
Apertura splendida della stagione teatrale della Locride, produzione del Centro Teatrale Meridionale diretto dall'attore e regista Domenico Pantano.
E gli applausi felicemente rumorosi sono la conferma e la cornice più bella.