Ci sono cose che non hanno prezzo

scopellitigiuseppe 500 25magdi Claudio Cordova - A volte il "punto" su una fase della vita, su una esperienza lavorativa, su una storia sentimentale deve essere forte, quasi come un timbro, apposto con forza con un documento. Altrimenti le vicende rischiano di trascinarsi lentamente, di poter essere rivalutate, talvolta in maniera assolutamente errata, per mancanza di lucidità o per chiara partigianeria e faziosità in ossequio a revisionismo e/o negazionismo imperante. La condanna definitiva dell'ex sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti, a pagare 300mila euro per danno erariale ha (anche) questo significato: quello di mettere un punto, senza attenuanti, senza i però del becero garantismo, su un'azione amministrativa, quella del "Modello Reggio" di centrodestra, che ha devastato la città per una dozzina di anni, fino alla vergognosa pagina dello scioglimento per contiguità con la 'ndrangheta del Comune.

L'ex sindaco di Reggio Calabria dal 2002 al 2010, aveva stipulato nel 2004 il contratto di acquisto dell'ex stabilimento di trasformazione degli agrumi 'Italcitrus', in stato di totale abbandono e pieno di amianto, al prezzo di due milioni e mezzo di euro interamente a carico del Comune, cifra richiesta dall'imprenditore Emidio Francesco Falcone. I terreni acquistati e i capannoni non furono "mai riconvertiti, in seguito, ad alcuna utilizzazione proficua per la collettività" nonostante la necessità dell'acquisto fosse stata motivata per ospitare un "fantomatico" centro della Rai. Scopelliti "la cui azione era risultata trainante in tutta l'operazione", rileva la Suprema Corte nel verdetto 10814.

E' una condanna senza possibilità di replica, quella per Scopelliti. Non solo per il fatto che ci troviamo in Cassazione, ultimo stadio dell'arzigogolato e lento sistema giudiziario italiano. Ma anche perché le parole con cui viene commentata l'azione amministrativa dell'allora primo cittadino non lasciano spazio a interpretazioni in grado di giustificare, nemmeno sotto il profilo politico, una delle tante condotte che avrebbero portato il Comune di Reggio Calabria sull'orlo del dissesto finanziario. Una vicenda di approssimazione e di spregio della Cosa Pubblica (e del denaro della stessa) che fa il paio con la condanna (fin qui in primo grado) a sei anni rimediata nell'ambito del "Caso Fallara": se la giustizia contabile circoscrive un caso – seppur assai rilevante in termini economici – come quello dell'ex Italcitrus, il procedimento penale ha tratteggiato un quadro inquietante del modo di gestire il Comune da parte dell'ormai ex uomo forte della destra calabrese, dimessosi dalla carica di Governatore proprio dopo la dura condanna in primo grado. Un sistema in cui avrebbe sguazzato, facendo il bello e cattivo tempo, la dirigente del Settore Finanze, Orsola Fallara, donna di fiducia di Scopelliti e morta suicida prima di poter essere raggiunta dalla giustizia.

Ciò che né la sentenza della Corte dei Conti, né il processo penale potranno mai risarcire sono gli anni che Reggio Calabria ha perso, affascinata e circuita dalla favola della "città turistica". Un'idea di città assolutamente condivisibile in astratto, ma che Scopelliti perseguì con metodi a dir poco discutibili: dalla "Notte Bianca" di Lele Mora e Valeria Marini, organizzata anche tramite l'intercessione dell'uomo della cosca De Stefano a Milano, Paolo Martino, passando per le tante incompiute nel settore lavori pubblici. Dal Tapis Roulant, tuttora "monco" al Waterfront, mai iniziato. E poi, ancora, la bellissima Villa Zerbi, adibita a casino con i tornei di poker sportivo. Un'azione amministrativa condotta senza alcun senno, facendo spregio delle casse comunali – evidentemente per creare consenso – con l'adozione di procedure assai discutibili, quanto meno sotto il profilo politico. Un nome su tutti "Obiettivo occupazione".

Ecco, tutto ciò non potrà mai essere risarcito. E ci vorranno anni affinché Reggio Calabria si scrosti di dosso la convinzione che conoscendo la persona giusta tutto sia possibile.

Se la maggior parte degli esponenti della destra reggina avesse dignità, la condanna per danno erariale per l'ex Italcitrus dovrebbe, una volta per tutte, zittire ogni tentativo di riabilitazione di quella fase politica. Ogni velleità di ritornare su piazza, dopo gli anni del disastro. Prima con il Nuovo Centrodestra (con cui Scopelliti si candiderà, senza venire eletto, alle elezioni europee) poi con Reggio Futura, ora con Azione Nazionale e domani chissà con quale fantasiosa sigla. Del resto, è proprio di Scopelliti la responsabilità di aver devastato il centrodestra, consegnandoci l'attuale destra che popola la città: l'ex sindaco ed ex governatore – evidentemente in un delirio di onnipotenza – non ha fatto altro che accentrare tutto su di sé, circondandosi di collaboratori dal quoziente intellettivo sotto la media o con evidenti difficoltà nel saper apporre la propria firma in calce a un documento. Inevitabile, quindi, che caduto Scopelliti la destra arrivasse a raschiare il fondo del barile, consegnando la città per chissà quanti anni a quel monumento di inadeguatezza che si chiama Amministrazione Falcomatà.

Ciò che al momento la storia – politica e giudiziaria – ci consegna è una stagione nefasta per la città, che, messi in soffitta i lustrini delle sfilate all'Arena Ciccio Franco, non può che apparire con il colore più adeguato: il grigio. Grigiore per come è iniziata, quell'attentato a Palazzo San Giorgio su cui, ancora, non è stata fatta chiarezza, grigiore nell'azione amministrativa, grigiore nelle scelte politiche che, talvolta, coincidono con le scelte morali, grigiore nei rapporti torbidi di diversi esponenti politici. Una stagione fatta di clientele e short list, di abomini giuridici come i photored, di feste con soggetti attenzionati dalle indagini antimafia.

Su queste e molte altre vicende, ancora non è stata scritta una pagina di verità. E allora, in effetti, quello che arriva sul caso Italcitrus non è un punto, ma solo un punto e virgola.

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