Cari italiani (e calabresi), siete come i vostri politici: inetti e indolenti

italiachiquitadi Claudio Cordova - Una delle infinite frasi attribuite (spesso artatamente) a Oscar Wilde recita così: "I pazzi a volte guariscono, gli imbecilli mai". Il politically correct imporrebbe a prescindere un elogio del popolo italiano, composto da grandi menti, ma vessato e frustrato nelle proprie capacità da una classe dirigente incapace e corrotta. Eppure forse il popolo italiano merita davvero ciò che, da circa 30 anni, gli sta accadendo. Ignoranza, ruberie, scandali, truffe, un presidente del consiglio piduista, altri al servizio di potenze straniere, l'ultimo, quello attuale, capace di far impallidire il passato in appena due anni di governo.

Del resto, essere stati sul tetto del mondo nell'antichità non è affatto in antitesi con il fatto di essere diventati un popolo di cialtroni e filibustieri. E la classe politica altro non è se non lo specchio della società che la elegge.

Il flop del referendum abrogativo sulle trivelle, con un affluenza nazionale che si aggira poco sopra il 30%, è l'emblema di un popolo che, ormai, non tiene più a rivendicare ed esercitare la propria sovranità, ma che, invece, ha deciso di consegnarsi alla mercè del governante di turno, che ormai da tempo – e almeno nel caso degli ultimi tre presidenti del consiglio – non è eletto dal popolo ma imposto talvolta dalla nomenclatura, assai più spesso da banche e poteri forti. Aveva la possibilità di scegliere, il popolo italiano.

Scegliere.

Il che significa non necessariamente votare "sì" e quindi fermare le trivellazioni in mare. Ma partecipare, ribadire, appunto, la propria sovranità e la propria libertà. Del resto, cantava Giorgio Gaber, "la libertà è partecipazione". L'italiano medio ha scelto di fare altro. Di oziare a casa, di registrare il 4-0 della Juventus al Palermo, che con ogni probabilità consegna ai bianconeri l'ennesimo scudetto, di passeggiare sulla via principale della propria città o di fare file interminabili al centro commerciale.

Il 30% e rotti di affluenza alle urne consegna alle cronache un Paese in stato vegetativo, ormai incapace di uno scatto di reni, anche quando questo è tutto sommato semplice: l'operazione di voto, rapidissima e semplicissima, andava a toccare temi importanti, quali quello dello sviluppo energetico e, visto l'argomento, anche le incidenze su ambiente e salute. Per qualcuno c'era da votare "contro" i petrolieri.

Ma l'italiano, ormai, sembra aver perso anche quella verve qualunquista e populista che, laddove non è possibile – per mancanza della materia prima – prendere decisioni col cervello, permette di agire di pancia.

Si costerna, s'indigna, s'impegna (su Facebook), poi getta la spugna senza troppa dignità.

Il fronte del "sì", che, ancor prima della scelta della casella su cui tracciare la X, doveva convincere gli italiani a recarsi alle urne, non sfonda. Troppo eterogeneo l'arco politico che si era schierato – più per partito preso contro il Governo – per lo stop delle trivelle: dall'estrema destra, alla sinistra radicale, passando per il mondo cattolico, che aveva fatto sentire la propria voce. Un po' tutti sembravano portatori delle istanze del "sì", ma, visti i risultati, alla fine il "tutti" si è ridotto a "quasi nessuno".

Nel quadro desolante fin qui tracciato, spicca poi il Sud che, con sei regioni su nove promotrici, doveva fare la parte del leone. E invece, a parte la Basilicata, che supera di poco il 50% dei votanti, il resto del Meridione, abdica alla propria dignità di elettore e di cittadino: altro che rivoluzione! Se la Puglia – pur abbastanza lontana dal quorum – salva la faccia con il 41% dei votanti, i dati che arrivano Campania, Sicilia e Calabria sono offensivi dell'intelligenza, con un affluenza ben al di sotto del 30%.

La notizia è che, stranamente, la Calabria non è all'ultimo posto, avendo Trentino Alto Adige e Campania totalizzato una percentuale d'affluenza minore. Dalle regioni promotrici (e affacciate sul mare) doveva arrivare la spinta maggiore per il raggiungimento del quorum. E invece da regioni apparentemente "disinteressate" (per quanto possa valere il concetto, visto che siamo tutti italiani) come Valle d'Aosta, Piemonte, Umbria e Lazio arrivano dati bassi, ma comunque più vicini alla media nazionale e superiori a quello calabrese.

La Calabria diserta il voto, ancora una volta "se ne frega".

Come ha fatto, del resto, la maggior parte della politica locale, ad esclusione del consigliere regionale Arturo Bova e di pochi altri. Il Pd, infatti, si è diviso tra chi – come il segretario regionale, Ernesto Magorno – ha pedissequamente eseguito i diktat romani di Matteo Renzi e chi, invece, in punta di piedi, si è discostato dalla linea ufficiale. In tal senso, troppo poco l'impegno del governatore Mario Oliverio, che si è limitato, alcuni giorni fa, ad annunciare il proprio voto – il "sì" – e a farsi fotografare nel proprio seggio a San Giovanni in Fiore. Ancor meno ha fatto il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, che, tra un post inutile e l'altro su Facebook, nulla ha proferito sul tema: né una dichiarazione di voto, nè una foto (sorridente, ovviamente) al seggio.

Proprio lui, così social...

Tutto per non disturbare il proprio capo, quel Matteo Renzi che aveva invitato all'astensione (sicuri che si possa fare?) e che, presto o tardi, dovrà garantirgli un posto in Parlamento. E infatti, nel pessimo risultato calabrese, la provincia di Reggio Calabria è quella dove si è votato meno: 22,2%. Niente male per il sindaco del capoluogo che, tra pochi mesi, avrà l'onere di guidare Reggio Calabria nel ruolo di Città Metropolitana, capofila di una delle province più astenute d'Italia (peggio hanno fatto solo Sondrio e Bolzano).

Le trivellazioni in mare continuano, dunque. In quel mare che, a detta dei politicanti nostrani, dovrebbe essere la risorsa più preziosa, il motore per una regione che dovrebbe vivere di turismo. Perché, diceva il poeta, "il mare è il nostro petrolio".

In tutto ciò, comunque, la Calabria riesce a far parlare (e ridere) di sé.

Ci pensa il deputato del Partito Democratico, il cosentino Ernesto Carbone, mostrarsi in tutta la sua genialità, allorquando, una volta conscio del mancato raggiungimento del quorum, deride e sbeffeggia su Twitter chi, invece, ci ha creduto, chi ha cercato di far valere le proprie ragioni, chi, in una frase, ha esercitato il proprio sacrosanto diritto al voto: "Prima dicevano quorum. Poi il 40. Poi il 35. Adesso, per loro, l'importante e' partecipare #ciaone".

#ciaone. Un parlamentare della Repubblica...

Politica vissuta con lo spirito dell'ultras o del giovinastro che il giorno dopo, a scuola, sfotte il compagno di classe per la sconfitta nel derby. Sul tavolo, invece, ci sono temi energetici e, tra qualche mese, le riforme costituzionali.

Lo specchio di una classe politica immatura e inadeguata. Al pari della popolazione.

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