Il pm e il colonnello dei Carabinieri che si fanno la guerra da più di dieci anni

Dominijanni Gerardodi Claudio Cordova - Tutto ha inizio il 27 marzo 2003. Dodici anni, sembra la notte dei tempi. A scrivere è il pm di Catanzaro Gerardo Dominijanni (nella foto), oggi magistrato assai in vista nel capoluogo e non solo per via delle indagini sulla politica calabrese. In quel periodo, però, Dominijanni è sostituto della Dda delegato per le inchieste sulla 'ndrangheta di Catanzaro e Lamezia Terme: convoca la riunione di un gruppo di lavoro interforze per contrastare la 'ndrangheta lametina. Una riunione funzionale a fare il punto della situazione e sulle attività di indagine e assicurare il coordinamento investigativo tra le varie forze di polizia. A essere convocati, il dirigente della Squadra Mobile di Catanzaro e l'altro protagonista della storia, il Comandante provinciale dei Carabinieri, il Tenente Colonnello Raffaele Fedocci.

Al Colonnello Fedocci, infatti, giunge nuova la notizia della costituzione di un gruppo interforze e chiede verifiche ai suoi ufficiali, ottenendo la risposta. Il pm Dominijanni avrebbe avuto in animo di affidare a Polizia e Carabinieri l'analisi degli atti d'indagine per valutare al meglio ulteriori sviluppi investigativi: "Non può pertanto considerarsi costituito alcun gruppo di lavoro interforze sulla criminalità lametina" mette nero su bianco il comandante del Nucleo Operativo, il Capitano Umberto Cola, espressamente investito della questione. Niente di ufficiale, insomma. Fedocci, quindi, diserta l'incontro, delegando proprio il Capitano Cola, ritenuto omologo del capo della Squadra Mobile. Fedocci raccomanda di assicurare "ampia disponibilità info-investigativa" alla Procura di Catanzaro.

E' il prologo a dieci anni e più di rapporti tesi, di carteggio incessante e, infine, di querelle nelle aule di giustizia.

Il 31 marzo, infatti, Dominijanni invia una lettera infuocata a Fedocci, rimarcando in diversi passaggi la possibilità di provvedimenti disciplinari che gli organi preposti avrebbero potuto valutare per il comportamento dell'ufficiale dell'Arma. Per il pm Dominijanni, infatti, la convocazione era assolutamente legittima e nelle prerogative del pubblico ministero e il Colonnello Fedocci avrebbe quindi, sia pure inconsapevolmente, "posto in essere una condotta illegittima". Del resto, si legge in una delle tante comunicazioni, l'espressione di "gruppo interforze" era da intendersi in maniera atecnica.

La vicenda, tuttavia, è ancora solo agli inizi.

E come in ogni scontro, gli elementi che aggiungono benzina sul fuoco sono molteplici. A cominciare dalle relazione dell'ottobre 2003 della Direzione Nazionale Antimafia che, enucleando i risultati ottenuti contro la criminalità organizzata ricadente nel distretto di Catanzaro, metterà nero su bianco: "Riserve in ordine al Comando Provinciale dei Carabinieri di Catanzaro e a quello di Crotone sono state avanzate dai magistrati assegnatari su quei territori".

Uno schiaffo all'operato del Colonnello Fedocci. La vicenda arriva anche sul tavolo dell'allora procuratore nazionale antimafia, Pierluigi Vigna, che acquisisce una serie di informazioni dall'Arma e scrive una breve ma perentoria lettera al Procuratore Generale e al Procuratore della Repubblica di Catanzaro, smentendo, di fatto la relazione: "Dai prospetti emerge che il Comando Provinciale dei Carabinieri di Catanzaro ha svolto una intensa attività di prevenzione ed investigativa per cui, in difetto di altre indicazioni, la frase "Riserve..." mi appare impropria".

Il tempo passa, ma i rapporti sono sempre più tesi. E' il marzo 2004, esattamente un anno dopo l'esplosione del conflitto tra Dominijanni e Fedocci. Il pm di Catanzaro convoca un'altra riunione e il Colonnello Fedocci delega il comandante del Reparto Operativo, il tenente Pisapia. Questa volta, però, interviene l'allora procuratore di Catanzaro, Mariano Lombardi, che scrive al comandante regionale dell'Arma, che, non condividendo le posizioni assunte da Fedocci, rimarca la legittimità dell'iniziativa intrapresa da Dominijanni. La risposta del Generale Baldassarre Favara non si fa attendere ed è tesa a stemperare gli animi, ma anche a difendere il Colonnello Fedocci: "Non si è trattato della delega espressa da chi non abbia inteso partecipare alla riunione, né di una mancanza di riguardo nei confronti di chi quella riunione aveva convocato o dei colleghi delle altre forze di polizia, né di una sottovalutazione dei proprio compiti [...] Il Tenente Colonnello Fedocci è ufficiale di pregevoli qualità professionali ed umane, che gli sono riconosciute anche nell'ambito della Magistratura e che ha sempre improntato il proprio lavoro a un esemplare spirito di servizio. Sono certo che egli troverà il modo di chiarire l'equivoco anche personalmente".

La guerra è comunque aperta. Sarà lo stesso Dominijanni a chiedere al procuratore di Catanzaro iniziative contro Fedocci, la cui assenza viene giudicata "istituzionalmente poco opportuna", sintomo di un atteggiamento che, a detta del pm, "sottrae all'Ufficio le risorse e le professionalità del comando provinciale".

Insomma, al centro ritornano sempre le riunioni convocate dal pm coordinatore dalla Dda, Domijanni, sulla cui legittimità le parti in causa hanno opinioni diametralmente diverse. Ma sul tema arriverà anche un intervento terzo, il più autorevole forse. La missiva indirizzata al Procuratore Generale e al Procuratore della Repubblica di Catanzaro è del 26 marzo 2004, la firma è quella dell'allora procuratore nazionale antimafia, Pier Luigi Vigna, che esprime perplessità sull'operato di Dominijanni "in quanto, senza che la missiva di convocazione sia stata diretta, per conoscenza, né al Procuratore della Repubblica, né al Procuratore Aggiunto che si occupa della Procura ordinaria, il Magistrato Coordinatore ha inteso estendere, addirittura con cadenza bimestrale, la sua attività di coordinamento e conoscitiva anche ai procedimenti ordinari, il che, mi sembra, non gli compete". Insomma, Vigna scende in campo e prende le parti di Fedocci, sostenendo anche la decisione (stigmatizzata più volte da Dominijanni) di delegare un ufficiale dell'Arma per le riunioni in questione.

Il carteggio è fittissimo e un'importanza fondamentale – anche alla luce della successiva battaglia legale – viene rivestita dalla lettera del 22 settembre 2004, firmata dal procuratore Lombardi e dal pm Dominijanni, in cui, oltre a una serie di encomi all'Arma dei Carabinieri per le attività contro la 'ndrangheta del Basso Ionio Catanzarese, si legge: "Per converso, mi corre altresì l'obbligo di segnalarle l'atteggiamento assunto dal Tenente Colonnello Raffaele Fedocci, Comandante Provinciale dei Carabinieri di Catanzaro, che più volte si è posto in contrasto con le direttive e le iniziative in maniera di coordinamento e di contrasto alla criminalità organizzata".

Un'accusa in piena regola.

O, almeno, così la intenderà il Colonnello Fedocci (attuale vicecomandante dell'Arma in Emilia Romagna) che farà anche formale richiesta per capire se a proprio carico vi fossero delle indagini in corso da parte dell'Autorità Giudiziaria. All'esito negativo dell'accertamento, passerà al controattacco e nell'ottobre 2005, una volta trasferito da Catanzaro ad altro incarico, deciderà di denunciare per diffamazione il pm Dominijanni, reo, a detta dell'ufficiale dell'Arma, di averne offeso la reputazione con l'attribuzione di "non aver svolto il proprio ruolo istituzionale in conformità ai propri obblighi se non, addirittura, di averlo svolto perseguendo obiettivi non in linea con quelli istituzionali e, comunque, contrari alle direttive impartite dalla magistratura".

Una denuncia che arriverà in aula, davanti al Giudice di Pace di Roma, solo nell'ottobre 2011. In mezzo due richieste di archiviazione da parte della Procura di Roma, cui si opporrà, per ben due volte, lo stesso Fedocci, facendo prorogare le indagini portate avanti dall'aggiunto Achille Toro e dal sostituto Alessandro Fiore. Dominijanni, allora, verrà anche interrogato e scinderà la missiva oggetto della denuncia in due parti: "E' attribuibile alla mia persona, esclusivamente per la parte in cui il Procuratore della Repubblica, a suo a e a mio nome, esprime riconoscenza all'Arma dei Carabinieri per le indagini relative alla cosiddetta operazione "Mithos". La frase incriminata, per come risulta dalle semplice lettura della richiamata missiva, è di esclusiva espressione di valutazioni del Procuratore della Repubblica". Una tesi, quella portata avanti da Dominijanni, che si fonda su aspetti grammaticali, dato che nella prima parte della lettera si parlerà al plurale, mentre il richiamo a Fedocci sarà introdotto dal semplice pronome "mi".

Sarà un incontro riservato tra il comandante regionale dei Carabinieri, Eduardo Centore, e il procuratore di Catanzaro, Mariano Lombardi, a fornire ulteriori particolari. Centore, infatti, si recherà da Lombardi proprio per avere lumi sulle rimostranze nei confronti di Fedocci. Dalla nota redatta per i suoi superiori dal comandante Centore: "Nel corso del colloquio, il dr. Lombardi, nell'esprimere i più convinti sentimenti di piena e incondizionata fiducia nonché di gratitudine per l'opera svolta in genere dall'Arma nell'ambito del distretto e di apprezzamento per l'attività sviluppata dal Tenente Colonnello Fedocci, ha corrisposto alle richieste formulategli con temi estranei, molto generici ed indeterminati, facendo intendere che quanto espresso era da attribuirsi ad alcuni tratti caratteriali del sostituto procuratore della Dda, cofirmatario della predetta missiva".

Ogni tentativo di riconciliazione – come sottolineato anche nella nota di Centore – fallirà. Il procedimento, dunque, arriverà finalmente davanti al Giudice di Pace di Roma. Dominijanni verrà assolto perché il fatto non sussiste il 30 ottobre 2012 e, quando la sentenza diventerà irrevocabile per via della decisione della Procura Generale di Roma di non impugnare il provvedimento, Dominijanni passerà all'attacco con un'azione civile nei confronti di Fedocci a cui verrà chiesto un risarcimento per il danno non patrimoniale quantificato in 500mila euro. L'instaurazione del procedimento penale e la diffusione, all'interno degli ambienti investigativi, della notizia, avrebbe suscitato nel pm Dominijanni, a detta dell'avvocato Riccardo Misaggi, "una notevole e certamente comprensibile sofferenza psichica e morale".

Da qui, dunque, la maxirichiesta pecuniaria, con l'impegno di Dominijanni di devolvere 100mila euro in favore delle vittime della criminalità organizzata. La partita si gioca davanti al Tribunale di Locri. Dominijanni, nativo di Roccella Jonica, gioca dunque "in casa". La storia continua...