L'avvocato Minasi: "Così capii i rapporti tra Giglio e i Lampada"

gigliovincenzodi Claudio Cordova - I primi guai arrivano a partire dal 1993 quando il pentito Tito Raso, storico collaboratore, autoaccusatosi di oltre quaranta omicidi per conto dei Piromalli-Molè, lo indica come un prestanome di una delle potenti cosche della Piana di Gioia Tauro. L'avvocato Vincenzo Minasi nel marzo del 1994 finirà anche agli arresti domiciliari, salvo poi essere assolto, al termine dell'iter giudiziario. "Una flashback della mia vita". Così Minasi ha definito le vicende milanesi in cui il legale è rimasto coinvolto, negli ultimi mesi, nell'ambito delle indagini sulla cosca Lampada, inviata in Lombardia in nome e per conto di Pasquale Condello, il "Supremo".

L'avvocato, che secondo i pm di Milano avrebbe avuto un ruolo di primissimo livello negli affari della famiglia calabro-milanese, è stato sentito, nelle scorse settimane, al cospetto del Gup Alessandra Simion. Ha negato praticamente tutte le accuse che il pool della Dda milanese, coordinato da Ilda Boccassini, gli contesta, ma, nello stesso tempo, ha confermato una serie di passaggi già individuati dagli inquirenti.

Minasi venne arrestato sul finire del 2011 in quella che, a tutti gli effetti, può essere definita una costola della delicatissima indagine "Meta", scattata, con una serie di arresti, nel giugno 2010. Dalle carte sulla scrivania del pm Lombardo, infatti, verrà esclusa la parte milanese, che verrà eseguita, invece, circa un anno e mezzo dopo. In quell'occasione finiranno in manette, oltre allo stesso Minasi e ai membri della famiglia Lampada, anche personaggi come il consigliere regionale Franco Morelli e il giudice Enzo Giglio, in quel periodo presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria.

A TAVOLA CON POLITICI E PROFESSIONISTI

Minasi, rispondendo alle domande delle parti in aula, ha infatti contestualizzato  la nascita dei rapporti con Giulio Lampada al 2002, ma, a suo dire, solo per questioni riguardanti le slot machine, su cui i Lampada a Milano avevano sostanzialmente il monopolio: "Mi è parso un buon cliente" dice. Stando al racconto del legale, peraltro, i suoi rapporti con la famiglia Lampada si manterranno quasi sempre attorno a un'orbita professionale: "Le uniche cose "non professionali" – dice - possono essere essenzialmente due, aver partecipato al matrimonio di Francesco Lampada nel 2008 e aver partecipato alla comunione o al battesimo della figlia di Giulio Lampada nella Città del Vaticano". Un matrimonio, quello di Francesco Lampada (fratello di Giulio) cui avrebbe partecipato un vero e proprio parterre de roi: "Quando sono stato invitato – ricorda Minasi - sono stato messo al tavolo insieme all'onorevole Sarra, al primario Quattrone, quindi c'erano tutti professionisti, eccetera, mi è parsa una cosa naturale e normale".

Una cosa naturale e normale, a dire di Minasi, che ribadisce fino alla nausea la propria estraneità ai fatti. Nel periodo delle azioni contestate dalla Dda milanese, per il legale i Lampada erano persone pulite: "Non era una mia percezione dovuta solo a un sentimento, a un sentire o a un capire. Era tutta una serie di elementi che mi portavano a dire questo, quali ad esempio le lamentele che mi ricordo la mamma dei Lampada parlava contro i mafiosi quando diceva: "La mafia mi ha ucciso un fratello e sono dovuta scappare da Reggio Calabria, sono scappata da Reggio Calabria perché non volevo far crescere i miei figli in quella casa". I figli stessi che mi raccontavano che il loro bar di Reggio Calabria, che era il bar del Tribunale, era frequentato da tutti i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Vantavano amicizia – tra virgolette amicizia, eh – da clienti a gestore, questo era evidente, ma del dottor Pennisi, del dottor Cisterna, del dottor Boemi, cioè tutte persone notoriamente antimafia anche nei cromosomi se così possiamo dire, che chiaramente mi inducevano a pensare che se frequentassero quel bar, sicuramente lo frequentavano perché pensavano che quel bar non fosse di persone dedite al malaffare".

IL GIUDICE GIGLIO

Ma quando c'è la 'ndrangheta di mezzo e, di conseguenza, le indagini della magistratura, ogni equilibrio e ogni convinzione sono più che fragili. Le certezze granitiche sul conto di Giulio Lampada & c. crollano infatti nel luglio 2010, dopo l'ordinanza nei confronti del clan Valle, legato da rapporti di parentela, ma non solo, ai Lampada.

E comunque i passaggi più importanti, l'avvocato li dedica ai rapporti che i Lampada avrebbero avuto con il giudice Enzo Giglio. Della presunta amicizia e complicità tra la famiglia calabro-milanese e il giudice Giglio, Minasi ammette di avere avuto contezza nel marzo 2010, circa due mesi prima che scattasse l'indagine "Meta", del Ros dei Carabinieri:  "Siamo proprio nel pieno del periodo della fuga di notizie e della ricerca di notizie – ricorda Minasi - pensavo che potesse dare anche a me delle notizie avute di prima mano d Reggio Calabria (parla di Giulio Lampada, ndr). Fu così che mi recai a Reggio e fu proprio anche in quell'occasione che per la prima volta ebbi la certezza che nelle informazioni era coinvolto anche Giglio presidente, Giglio giudice, perché proprio in quel preciso momento sia Giglio Vincenzo, che Lampada Giulio tornavano da casa di questo magistrato". E sarebbe stato proprio Giulio Lampada a rivelare al proprio avvocato, della presunta amicizia con Giglio: "Mi avevano detto che avevano questo canale con il presidente, intendendosi per presidente il giudice Giglio, ma io non ci credevo. Ne ho avuto contezza il 3 di marzo, quando sono sceso e mi hanno detto: stiamo tornando da casa del presidente  e ha detto che non c'è niente (con riferimento alle indagini sui Lampada, ndr)".

LA INDRES IMMOBILIARE

Stando alle ricostruzioni degli inquirenti, Minasi sarebbe stato uno dei prestanome della cosca Lampada, soprattutto con particolare riferimento alla Indres Immobiliare, azienda centrale nell'indagine, che verrà il coinvolgimento del giudice Giancarlo Giusti, che verrà tratto in arresto alcuni mesi dopo il blitz di fine 2011, con l'accusa di corruzione, che i Lampada avrebbero messo in atto attraverso viaggi e pernottamenti a Milano, allietati ulteriormente dalla presenza di calde prostitute dell'Est: "La mia unica preoccupazione era che quella che Giusti, Pullano e gli altri avessero potuto fare degli imbrogli a mia insaputa con questa società" racconta Minasi. La Indres, infatti, partecipa alle aste del Tribunale di Reggio Calabria, proprio mentre Giusti opera, da magistrato, nel settore delle aste: "I soci scoprirono che Pullano era un imbroglione, cioè nel senso che non solo aveva falsificato la perizia da dare al Tribunale essendo lui perito del Tribunale nella procedura esecutiva. Aveva falsificato questa notizia, dando ai beni da escutere dei valori non corrispondenti alla verità, inferiori. Ma aveva imbrogliato anche i suoi soci, e cioè Giusti, Lampada e Giglio, descrivendo nella perizia ufficiale questi beni come se avessero delle caratteristiche che in realtà non avevano".

Nel corso del proprio interrogatorio, peraltro, Minasi criticherà aspramente e ripetutamente le indagini del Commissariato di Palmi, sul suo conto. Contestualmente alle misure cautelari "milanesi"; infatti, i pm Roberto Di Palma e Giovanni Musarò, della Dda di Reggio Calabria, operarono un'attività sui rapporti che Minasi avrebbe intrattenuto con la potente cosca Gallico di Palmi: "Un rapporto esclusivamente professionale" lo definisce Minasi, che però, a detta dei pm sarebbe il trait d'union tra Calabria e Lombardia. Il legale, quindi, critica le attività svolte dai poliziotti di Palmi e riesce anche a individuare il presunto astio nei suoi confronti: "Forse perché in un colloquio, e me ne sono scusato anche col Procuratore della Repubblica di Reggio, con i sostituti, eccetera, c'è una telefonata dove durante le indagini dico: ma questi cretini del Commissariato non hanno fatto questo accertamento".

LE FUGHE DI NOTIZIE

Ciò su cui Minasi è a dir poco irremovibile, è il settore delle presunte fughe di notizie e "soffiate" che sarebbero arrivate agli indagati nel corso delle indagini: "Parliamoci in termini concreti – dice con fermezza Minasi - io in tutta la mia vita una fonte confidenziale che mi abbia dato una sola notizia... non ce l'ho mai avuta. E la riprova è quando pure (incomprensibile) prima di dare sfogo alla mia disperazione, dopo aver saputo da Commisso, quel cliente che è venuto nel mio studio e m'ha detto: "Lei è indagato", l'unica cosa che riesco a fare, ecco questo vi dà la dimostrazione di come non avevo fonti riservate a cui chiedere, chiamo la mia segretaria e dico: "Non è che conosci qualcuno che mi possa dare una mano d'aiuto?". Quindi per dire a che livelli siamo".

Sullo sfondo, però,  rimarrebbe, neanche a dirlo, la lunga ombra dei servizi segreti che, in un modo o nell'altro sarebbe entrata nel corso delle indagini. Facendo mente locale, infatti, Minasi ricorderà la figura di un certo Luigi Condelli, cugino di Mario Giglio, a sua volta cugino dei due Vincenzo Giglio, medico e magistrato, entrambi ammanettati dalla Squadra Mobile di Milano: "Questo signore – dice riferendosi a Condelli - effettivamente venne nel mio studio una volta, si vantava di essere dei servizi segreti, della Questura, adesso non ricordo. So perfettamente, però, che questo signore aveva un tesserino, il tesserino della Presidenza del Consiglio dei Ministri e si vantava quindi di essere dei servizi segreti. Tra l'altro questo signore era così addentro a delle notizie sulla mia persona, cioè che mi riguardavano, che mi fece impressione perché sapeva delle cose sulla mia vita che rimasi abbastanza esterrefatto".