Rapporto della task force di Letta: le idee per combattere (davvero) le mafie

gratteri nicolascrivaniadi Claudio Cordova - Centoottantadue pagine in cui vengono sviscerati i criteri, ma anche i problemi dell'attuale legislazione antimafia, ma in cui, soprattutto, per la prima volta in maniera organica, vengono individuate le possibili soluzioni alle criticità. I "saggi" (forse a loro non piacerebbe essere chiamati così) incaricati dal primo ministro Enrico Letta per elaborare alcune proposte in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità organizzata, hanno terminato il proprio lavoro: il risultato è il rapporto "Per una moderna politica antimafia". Dopo aver analizzato la normativa vigente e audito diversi addetti ai lavori (tra cui il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti e il capo della Polizia, Alessandro Pansa), la Commissione presieduta da Roberto Garofoli (Magistrato del Consiglio di Stato) e composta Magda Bianco (Dirigente Banca d'Italia), Raffaele Cantone (Magistrato di Cassazione), Nicola Gratteri (Procuratore aggiunto Reggio Calabria), Elisabetta Rosi (Magistrato di Cassazione) e Giorgio Spangher (Professore ordinario di procedura penale) ha elaborato il proprio documento, che è stato presentato negli scorsi giorni a Roma.

Sono cinque le parti dell'elaborato: "Aggressione ai patrimoni delle mafie e gestione dei beni sequestrati e confiscati", "Criminalità ed economia", "Criminalità e Istituzioni", "Il rafforzamento del sistema di repressione personale" e, infine, "Criminalità e contesto sociale".

Si inizia proprio dai beni sequestrati e confiscati, un problema annoso e che, quando si parla di lotta alle mafie, viene sempre riportato a galla, sia nell'ottica costruttiva, di rendere i beni sottratti alla criminalità delle effettive risorse, sia in termini critici, a causa della inefficienza dell'Agenzia Nazionale per i beni confiscati: "La scelta del Direttore dell'Agenzia dovrebbe avvenire tra una più ampia platea di soggetti in modo da assicurare una più specifica competenza nel settore, segnatamente nel ruolo dei dirigenti di prima fascia, dei prefetti ovvero dei magistrati che abbiano conseguito almeno la quinta valutazione di professionalità" scrive la Commissione. E ancora: "Si dovrebbe intervenire sulla composizione del Consiglio direttivo, prevedendo che sia composto: - da un membro designato dal Presidente del Consiglio dei Ministri; da un rappresentante del Ministero dell'interno; da un qualificato esperto in materia di gestioni aziendali e patrimoniali designato dal Ministro dell'economia e delle finanze; da un esperto in materia di progetti di finanziamento nazionali ed europei designato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ovvero del Ministro delegato per la politica di coesione, attesa la centralità dei finanziamenti europei in questo settore; da un rappresentante dell'ANCI, in considerazione del fondamentale ruolo dei comuni; da un rappresentante delle associazioni "potenziali" destinatarie dei beni sequestrati e confiscati; da un magistrato designato dal Ministro della giustizia, con specifica esperienza nel settore del sequestro e della confisca dei beni; da un magistrato designato dal Procuratore nazionale antimafia". E poi, ovviamente, l'aumento della pianta organica: "Un organico di cento unità, da assumere in modo trasparente" scrive ancora la Commissione. Idee, quelle degli esperti nominati da Governo Letta, volte a consentire all'Agenzia di effettuare "un monitoraggio continuo e sistematico sulle modalità con cui i beni confiscati sono utilizzati, strumentale anche ad effettuare un tempestivo intervento laddove si renda necessario, fornendo adeguata assistenza a tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti". Fondamentale, a detta della Commissione, "la garanzia dell'immediato utilizzo dell'immobile sgomberato". In che modo? "Occorre evitare che lo sgombero o il rilascio dell'immobile siano demandati all'Agenzia e che, dunque, i relativi provvedimenti siano impugnati dinanzi al giudice amministrativo" dice ancora la Commissione. Ma, si sa, per realizzare qualsiasi cosa sono necessari i soldi. Anche in questo caso la Commissione ha le idee chiare, proponendo la costituzione di due fondi dedicati: "Un Fondo per soddisfare i creditori dei quali sia stata riconosciuta la buona fede, cui attingere nel caso in cui la vendita dei soli beni mobili non sia stata sufficiente a reperire le somme necessarie a soddisfare i creditori; un Fondo dal quale si possano attingere le risorse comunque necessarie per rendere utilizzabili i beni confiscati, in particolare per fronteggiare spese ordinarie di manutenzione e gestione indispensabili in vista della destinazione del bene". Con riferimento ai beni sequestrati e confiscati, la Commissione dedica diverse pagine anche alla tutela del bene aziendale, ma, soprattutto, alla tutela dei lavoratori impiegati nelle aziende finite sotto sequestro. E poi, anche alla luce delle recenti indagini, che hanno dimostrato come la criminalità organizzata sia capace di infiltrarsi anche nella "nuova gestione", arriva la proposta: "La formazione di un elenco di manager specificamente formati nella gestione delle aziende sequestrate e confiscate, da cui l'Agenzia (e ancor prima, se necessario, il giudice) possa attingere specifiche professionalità manageriali di settore".

La Commissione dedica molte pagine del proprio rapporto al contrasto economico delle mafie. Obiettivo numero uno da perseguire, l'inserimento nell'ordinamento del reato di autoriciclaggio, con un occhio attento al mondo delle professioni, che deve assolutamente fare la propria parte: "Un ruolo attivo degli ordini professionali potrebbe facilitare la soddisfazione degli obblighi" scrivono i commissari quasi esortando alla collaborazione. Da snellire, però, anche le procedure attualmente vigenti per la segnalazione di flussi di denaro sospetti, allo stesso tempo rafforzando i sistemi informativi tra le varie forze dell'ordine.

Assai corposa la parte riguardante "Criminalità e Istituzioni" in cui viene affrontato il tema dello scioglimento dei consigli comunali e tutto quello che ruota attorno ad esso (per esempio l'incandidabilità degli amministratori). L'attuale normativa sugli scioglimenti viene giudicata dalla Commissione "un giusto equilibrio fra la possibilità di intervenire in modo sostanzialmente repressivo sugli organi rappresentativi di un ente locale, infiltrato dalle mafie, e l'esigenza di tutelare l'autonomia, ormai costituzionalmente riconosciuta, dell'ente locale e i diritti dei cittadini a vedersi rappresentati dagli amministrati democraticamente scelti". Ma la Commissione segnala "l'opportunità di prevedere meccanismi rimediali volti a prevenire e/o reprimere le infiltrazioni mafiose nei consigli regionali; plurime e anche recenti risultanze processuali attestano, invero, l'interesse delle organizzazioni criminali ad essere presenti e rappresentate nelle regioni, in considerazione della più ampia capacità di spesa di cui le stesse dispongono". La Commissione quindi propone di ampliare l'incandidabilità, prevedendo che essa duri almeno per due tornate elettorali successive e per non meno di 6 anni. Le relazioni si scioglimento, peraltro, devono essere conosciute dai cittadini "per l'esercizio consapevole del diritto di elettorato attivo nelle elezioni successive allo scioglimento". E anche nel caso in cui il Ministro dell'Interno dovesse optare per il mancato scioglimento, la Commissione auspica – sempre a tutela dei cittadini – maggiore trasparenza degli atti. E anche rispetto alla fase commissariale, gli esperti del Governo Letta ipotizzano alcune interessanti innovazioni: "Prevedere che i commissari straordinari svolgano la loro funzione a tempo pieno e con esclusione di altri incarichi di qualsivoglia tipo. I funzionari in servizio devono quindi svolgere in modo esclusivo il mandato senza peraltro che la nomina in queste commissioni possa andare a detrimento della loro carriera; consentire nella fase di gestione commissariale la possibilità di espletare concorsi che consentano un rinnovamento della burocrazia. La gestione commissariale dei concorsi renderebbe più trasparenti le assunzioni e consentirebbe di iniziare un rinnovamento della burocrazia degli enti locali; prevedere esplicitamente la possibilità di licenziamento o di trasferimento dei "burocrati" ritenuti collegati o condizionati

dalla criminalità; imporre che i comuni sciolti – dopo la fine della gestione commissariale – utilizzino per tre o cinque anni la Stazione Unica appaltante; ampliare il novero degli enti nei cui confronti possano essere effettuati i controlli sulle infiltrazioni mafiose, con esplicita previsione delle società partecipate o dei consorzi pubblici anche a partecipazione privata".

Ma se un Ente viene sciolto, spesso è perché la politica non ha saputo alzare un muro davanti allo strapotere delle cosche e, anzi, ha aperto le proprie porte (e quelle del Palazzo) al malaffare. In tal senso, la Commissione, dopo aver analizzato (come negli altri casi) le criticità, avanza le proprie proposte sul reato di voto di scambio (la cui riformulazione è stata approvata un paio di giorni fa in Senato). La Commissione propone inoltre l'inasprimento delle pene per il reato di associazione mafiosa. Ed è inoltre facile vedere la mano del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, quando il rapporto, subito dopo le emergenze riguardanti il reato di 416bis ritiene fondamentale la necessità di informatizzare il processo penale: un'idea che il magistrato reggino propugna da anni.

La relazione della Commissione si conclude con il tema più spinoso, quello relativo a "Criminalità e contesto sociale". La capacità delle mafie di permeare il tessuto economico, ma anche quello dei rapporti umani e fiduciari, rappresenta l'elemento più difficile da scardinare per inquirenti e forze dell'ordine. La Commissione parla non a caso di "riqualificazione" urbanistica, educativa e occupazionale, ma dedica la propria attenzione anche ai rapporti familiari: "Le difficoltà vanno superate agendo sugli stessi fattori che le hanno generate. Ciò significa avvalersi di quelle stesse "forze" che innescano il circolo vizioso della criminalità. L'inclusione sociale dei soggetti che vivono e agiscono nelle aree di degrado urbano rappresenta lo strumento più efficace per combattere la criminalità" scrive la Commissione spostandosi dall'ambito giurisprudenziale a quello sociologico. Ma anche lo spazio vitale degli esseri umani ha un peso non di poco conto: "La questione urbana va risolta prima della questione sociale, poiché spesso i processi sociali non si rivelano se non attraverso la trasformazione dell'urbano da essi stessi indetta [...]Da qui l'urgenza di affrontare la domanda di sicurezza delle città anche in termini urbanistici ed architettonici. Emblematiche, in tale contesto, le politiche di governo dei processi di riqualificazione intraprese negli Stati Uniti d'America e nel Regno Unito. Gli strumenti predisposti a tal fine, pur nella loro diversità, presentano delle linee comuni che hanno consentito a tali Paesi di assolvere ad un ruolo di sperimentazione e di leadership". Insomma, uno Stato è credibile se riesce a far vivere i propri cittadini in contesti dignitosi, anche sotto il profilo urbanistico e architettonico: "Pare evidente che per garantire un'effettiva riqualificazione occorre operare sui quartieri periferici e centrali degradati, legalizzare e rigenerare gli habitat marginali, potenziare i servizi pubblici nelle aree marginali, promuovere la partecipazione degli abitanti per la riqualificazione degli spazi pubblici e il miglioramento delle condizioni abitative".

Inevitabile, poi, il passaggio sulla "riqualificazione educativa". Il livello del rapporto della Commissione si alza e va a penetrare nei gangli dello strapotere mafioso, sotto il profilo del consenso sociale: "Gli impulsi alla prevaricazione, al sovvertimento delle regole di una civile e ragionevole convivenza hanno finito per produrre modelli di vita devianti e negativi. Il concetto di vantaggio, di utile personale, l'esigenza di guadagno e ricchezza hanno determinato una vera e propria distorsione del concetto stesso della persona e della società in cui vive. In tale contesto, i progetti di riqualificazione devono passare necessariamente attraverso un processo di recupero della legalità e del valore delle istituzioni, della dimensione sociale e, più in generale, della politica. Una strategia di recupero si basa su di un processo di riabilitazione attiva che parte dallo Stato e dalla politica, intesa quale sistema di valori della convivenza. L'educazione alla legalità va concepita come acquisizione di una coscienza civile e come promozione di una cultura che si basi sul rispetto delle regole di convivenza sociale. D'altra parte, essa affonda le sue radici proprio nell'originario bisogno di eguaglianza e libertà individuali e nella collettività".

Fondamentale nel ricostruire il tessuto sociale è il ruolo della famiglia.

La Commissione cita un caso calabrese, reggino, quello del boss Giuseppe De Stefano, richiamando la sentenza del maggio 2012 con cui il tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha stabilito, con un provvedimento che non ha precedenti, che Peppe De Stefano, nel periodo di latitanza potesse "determinare l'asservimento dei figli alle logiche di conservazione e di predominio del potere mafioso". I suoi bambini, di 2 anni e 1 anno, entrambi concepiti durante la latitanza, sono stati quindi affidati in via esclusiva alla madre.

L'oppressione delle mafie è asfissiante, soprattutto in determinati territori. E anche nelle zone di "nuova" conquista (come la Lombardia) alcuni settori – come l'imprenditoria – subiscono la morsa delle cosche. Per questo, dunque, la Commissione immagina alcune idee per una governance capace di spezzare gli artigli della criminalità organizzata: "Attivare un forte presidio statale in grado di assumere

compiti anche gestionali; garantire un'adeguata partecipazione degli enti territoriali interessati; assicurare unitarietà, organicità e tempestività degli interventi". In termini concreti la Commissione propone la "nomina di un commissario straordinario, dotato di poteri speciali per la definizione e realizzazione degli interventi; costituzione di una apposita struttura di missione alle dipendenze del commissario straordinario dotata di autonomia amministrativa e contabile e di adeguate risorse umane e strumentali; costituzione di un comitato di coordinamento presieduto dal commissario straordinario e composto dal presidente della regione, dal presidente della provincia e dal sindaco del comune interessato; predisposizione di uno schema di piano strategico da parte del commissario straordinario, in collaborazione con gli enti pubblici e privati interessati, sentito il comitato di coordinamento, contenente, tra l'altro, indicazioni di massima sugli interventi programmati e sulle modalità e i tempi di effettiva realizzazione; svolgimento di una consultazione pubblica sul piano strategico, aperta alla comunità interessata; approvazione del piano strategico da parte del consiglio dei ministri integrato dalla partecipazione del presidente della regione interessata".

Proposte concrete che potrebbero rivoluzionare il modo di combattere la criminalità organizzata. Vi sarà il coraggio di attuarle?