di Claudio Cordova - Una calamita per le vicende torbide e i misteri. Il nome del magistrato Olindo Canali, per tanti anni in servizio presso la Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto, appare – in maniera sospetta – in diverse vicende siciliane. La sua figura è strettamente collegata a quella di un altro magistrato, Franco Cassata: i due finiranno al centro di una serie di scandali a Barcellona Pozzo di Gotto e dintorni che riguarderanno, peraltro, l'uccisione del giornalista Beppe Alfano e il suicidio del professore Adolfo Parmaliana. Cassata chiuderà la carriera in magistratura alcuni mesi fa, con una condanna in primo grado per diffamazione nei confronti di Parmaliana, che, da segretario dei Democratici di Sinistra di Terme Vigliatore, denuncerà una serie presunte gravi responsabilità di magistratura e politica nel messinese. Canali è stato di recente assolto dalla Corte d'Appello di Reggio Calabria (dopo essere stato condannato in primo grado) dal reato di falsa testimonianza aggravato dalle modalità mafiose: secondo l'accusa avrebbe detto il falso nel processo "Mare Nostrum" contro la mafia barcellonese, proprio per favorire i clan del luogo.
Ma in occasione del trentesimo anniversario dell'uccisione del procuratore di Torino, Bruno Caccia, il nome di Canali è ritornato prepotentemente all'attualità.
Caccia verrà assassinato il 26 giugno del 1983 e per il suo omicidio verrà condannato il solo Domenico Belfiore, ritenuto un personaggio di alto livello tra le cosche torinesi. L'indagine, condotta dal pubblico ministero Francesco Di Maggio potrà avvalersi delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Miano, detto Jimmy, che – in uno dei suoi diversi soggiorni in carcere – sarebbe stato convinto dai Servizi Segreti ad acquisire e registrare (con un registratore fornito proprio dagli 007) informazioni sull'omicidio del giudice Caccia. Miano completerà la missione, portando sul tavolo del Sisde una frase auto-accusatoria del boss Belfiore, che lascerà intendere di aver avuto un ruolo nell'omicidio, senza però indicare movente, dinamiche e complici.
Sul delitto del procuratore di Torino – comunque – rimarranno sempre irrisolti alcuni misteri.
In quegli anni, infatti, l'egemonia (ormai acclarata) delle 'ndrine su larghe fette del territorio settentrionale (prova ne siano le ultime indagini "Infinito", "Minotauro" e "Maglio") non si è ancora stabilizzata: in quel periodo le famiglie siciliane sono all'apice della propria forza criminale. Tuttavia, tra le tante ipotesi portate avanti è che il procuratore Caccia stesse lavorando a documenti scottanti sui rapporti tra le 'ndrine e gli ambienti istituzionali. Nel suo libro "Toghe Rosso Sangue", che ricostruisce la vita dei giudici assassinati in Italia, il giornalista Paride Leporace definisce così Bruno Caccia: "Un piemontese tutto d'un pezzo che non si piega. Si sta occupando con determinazione di un fenomeno che non ha titoli e attenzioni dai giornali. La 'ndrangheta. Torino è la città con più calabresi d'Italia. Sono arrivati con i treni del Sole e le valigie di cartone ai tempi del boom economico. La gran parte è costituita da brave persone che hanno contribuito alla crescita economica della capitale dell'industria italiana. Ma da Gioiosa Jonica, Siderno, Gioia Tauro sono arrivate anche famiglie che hanno codici e rituali antichi. Che rimodellano su abitudini metropolitane per conquistare le ricchezze del Nord. Sono tribù spietate. Godono dell'impunità che si conquista con il colore dei soldi. Controllano magistrati e hanno alleati insospettabili con le scarpe lucide [...] Il procuratore Caccia è per loro un serio pericolo. Si è messo di traverso a una nuova emergenza, ma l'opinione pubblica nazionale di questo fenomeno non conosce nulla".
Intuizioni, quelle di Bruno Caccia, che sarebbero state premiate diversi anni dopo.
Proprio questi dubbi, questi sospetti, questi misteri, spingono, da diverso tempo ormai, i figli del procuratore a chiedere verità sull'uccisione del padre, per troppo tempo "bollata" quasi come una vicenda personale con Belfiore. Ma come entra il nome di Olindo Canali nella vicenda? Da tempo è ormai agli atti un'affermazione in cui Canali rivelerà del ritrovamento effettuato all'interno dell'abitazione dell'avvocato mafioso Rosario Pio Cattafi della falsa rivendicazione che le Brigate Rosse faranno dell'omicidio di Bruno Caccia, circa un'ora dopo il fatto di sangue. Un'informazione che Canali avrebbe appreso nei suoi anni da giovane uditore presso la Procura di Milano. Anni in cui imparerà il mestiere dal pubblico ministero Francesco Di Maggio, il magistrato che indagherà sull'omicidio del procuratore di Torino. Un dato non di poco conto che però, secondo quanto risulta, non entrerà mai nelle carte che porteranno all'attuale verità giudiziaria sull'omicidio di Bruno Caccia.
Per motivi diversi, tanto Cattafi, quanto Canali, sono personaggi a dir poco controversi. Il primo, originario proprio di Barcellona Pozzo di Gotto, è un avvocato, ma anche un personaggio chiave della storia criminale siciliana. Pienamente "operativo" fin dagli anni '70, si lega ben presto a uomini d'onore di Cosa Nostra, ma anche ad ambienti della destra eversiva e della 'ndrangheta. Diversi collaboratori di giustizia lo indicano come un soggetto dalle mille entrature, sia sotto il profilo economico e finanziario, sia sotto quello investigativo, viste le aderenze nel mondo dei Servizi Segreti. Cattafi sarà anche indagato per il sequestro dell'imprenditore Giuseppe Agrati, poi rilasciato in seguito al pagamento di un riscatto. A indagare sarà ancora una volta il pm Di Maggio che arriverà a chiedere l'archiviazione per l'avvocato barcellonese: un decreto di archiviazione che svelerà una presunta mediazione di Cattafi per la cessione di una partita di cannoni della Oerlikon Suisse all'emirato di Abu Dhabi, ma anche la versione di un sedicente funzionario dei Servizi Segreti che ha dichiarerà di aver ricevuto una versione da Cattafi sull'omicidio del giudice Caccia, con particolare riferimento all'autore materiale del delitto, mai individuato (Belfiore sarà condannato come mandante). Personaggio dai contatti e dalle amicizie nazionali e internazionali, Cattafi verrà arrestato nel 2012 nell'operazione "Gotha 3" e subito posto al 41bis: secondo gli inquirenti – anche sulla scorta delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – grazie alle proprie connivenze istituzionali, Cattafi sarebbe diventato un soggetto potentissimo in seno alla mafia siciliana, rappresentando l'anello di congiunzione, la cerniera, tra il mondo criminale e quello economico e istituzionale. In tal senso si inquadra la sua presenza tra gli indagati dell'inchiesta sui "Sistemi Criminali" - condotta alcuni anni fa dal pubblico ministero Roberto Scarpinato sulla strategia della tensione dei primi anni '90 - ma sfociata in un'archiviazione complessiva per personaggi del calibro del gran maestro della P2, Licio Gelli, il terrorista nero Stefano Delle Chiaie, i boss mafiosi Totò Riina e i fratelli Graviano, ma anche l'avvocato Paolo Romeo, avvocato reggino condannato in via definitiva per mafia nel processo "Olimpia" e considerato un'eminenza grigia delle dinamiche 'ndranghetiste. Nell'udienza preliminare al cospetto del Gup di Messina, celebrata una dozzina di giorni fa, lo stesso Cattafi chiederà lo spostamento del processo proprio a Reggio Calabria.
Senza successo.
Canali, parimenti, entra in vicende altrettanto oscure. Nell'informativa dei Carabinieri redatta nell'ambito di un'inchiesta siciliana denominata "Tsunami", vengono sottolineati i rapporti "quantomeno sconvenienti" di diversi personaggi istituzionali, tra cui lo stesso Canali, con Salvatore Rugolo, ritenuto un elemento di spicco della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto. Nell'informativa "Tsunami", Rugolo viene definito così: "Grazie allo schermo protettivo di cui beneficia per via della sua professione di medico, parrebbe dirigere ponendosi in un ruolo di vera e propria "cerniera" tra gli ambienti criminali e quelli istituzionali". Personaggio di livello, insomma, anche in virtù delle parentele: è infatti figlio di Francesco Rugolo, assassinato nel 1987 nell'ambito della guerra di mafia barcellonese, ma è soprattutto cognato del boss Giuseppe Gullotti, ritenuto il mandante dell'omicidio del giornalista Beppe Alfano. Quel Giuseppe Gullotti considerato in maniera unanime come un "figlioccio" di Cattafi. Quel Giuseppe Gullotti che farà parte di un circolo, la Corda Fratres (di cui diffiderà Beppe Alfano) fra i cui soci hanno militato insieme Domenico Nania, l'ex sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca (anch'egli barcellonese), lo stesso Rosario Cattafi, ma anche il giudice Franco Cassata, promotore del circolo. Su queste strane amicizie, su questi inquietanti intrecci, indaga, qualche anno fa, un giovane sostituto procuratore, De Feis che, però, ben presto riceve delle pressioni da parte di Franco Cassata, sostituto procuratore generale della Corte di assise e d'appello di Messina, da parte di Rocco Sisci, procuratore capo del tribunale di Barcellona, e dallo stesso Olindo Canali, che nonostante gli elementi compromettenti emersi a suo carico, sarebbe stato informato più volte proprio da Sisci, affinché le indagini venissero bloccate, insabbiate. I Carabinieri che lavoreranno all'inchiesta "Tsunami" parleranno chiaramente dei "tentativi di interferenza sulle indagini" operate da alcuni magistrati: "In particolare, un riferimento è andato al dr. Olindo Canali, anziano ed esperto Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto, ed al dr. Franco Cassata, Procuratore Generale F.F. presso la Procura Generale di Messina" è scritto nell'informativa. Negli scorsi anni verrà anche ascoltato – in qualità di testimone – dal pubblico ministero Antonino Di Matteo, uno dei magistrati che indaga sulla "Trattativa Stato-Mafia". Nel processo contro il generale dei Carabinieri, Mario Mori, Canali parlerà per diverse ore dell'omicidio di Beppe Alfano e del periodo di latitanza che il celebre boss Nitto Santapaola avrebbe trascorso proprio a Barcellona Pozzo di Gotto, la città di Saro Cattafi. Nel medesimo processo, peraltro, sarà ascoltato anche lo stesso Cattafi, che tirerà in ballo i magistrati Di Maggio e Canali, con riferimento alla "Trattativa", uno dei più grandi misteri d'Italia.
Ma i nomi di Cattafi, Di Maggio e Canali ritornano anche in un altro caso oscuro della storia d'Italia: l'omicidio del giudice Caccia, ancora discusso a trent'anni di distanza.