“Tutto quello che mi è successo, è accaduto perché mi chiamo De Stefano”

destefanogiorgio avvocato recente 500di Claudio Cordova - Si difende bene sul passato, anche facendo valere la propria preparazione giuridica. L'avvocato Giorgio De Stefano, considerato "Il Massimo" della 'ndrangheta, a capo della cupola massonica che avrebbe governato Reggio Calabria almeno negli ultimi 20 anni, sceglie di affrontare il processo "Gotha" con il rito abbreviato. Una scelta che ha sorpreso qualcuno, ma che si inquadra anche nel tentativo di marcare le distanze con l'altro presunto capo dell'associazione segreta che avrebbe tenuto sotto scacco la città, Paolo Romeo, che ha scelto, come quasi tutti gli imputati di peso, il rito ordinario. Prima di affrontare l'abbreviato (che inizierà alla fine del mese), l'avvocato De Stefano sceglie però di sottoporsi all'esame del giudice e della Dda di Reggio Calabria.

CHIAMARSI DE STEFANO

Lo fa, in primis, rispondendo alle domande del pm Giuseppe Lombardo. Questi gli contesta come una serie di risultanze appaiano convergere sul nome di De Stefano come eminenza grigia della città, a partire dagli anni '70. Sul punto, però, il legale, già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, è netto: "Mi è successo perché mi chiamavo De Stefano, mi è successo perché facevo l'Avvocato, io dato che torno alla domanda del

Pubblico Ministero non lo so perché mi è successo questa cosa. Probabilmente perché mi chiamavo così, perché facevo l'Avvocato, perché avrò fatto degli errori probabilmente di cui io non mi rendo conto. Però voglio dire c'è un fatto che queste dichiarazioni allora furono valutate e valutate in un certo modo, e furono per una gran parte smentite". De Stefano non si sottrae al confronto con le dichiarazioni dei "vecchi" collaboratori di giustizia, che, ricorda il legale richiamando le precedenti sentenze che lo hanno riguardato, sarebbero già state smentite o, comunque, superate. De Stefano non si spiega, dunque, perché la Dda continui a dar credito a tali affermazioni. E fornisce la propria chiave di lettura: "Posso dire è successo che Lauro, Gullì e Festa si sono messi d'accordo o qualcuno li ha messi d'accordo per dire queste cose. Potrei rispondere me lo posso spiegare anche col processo Borsellino bis o ter o quater che si sta celebrando a Caltanisetta, laddove quella Procura ha avuto il coraggio di processare questori, comandanti delle guardie, perché si erano messi d'accordo e avevano influenzato pentiti per fare condannare persone all'ergastolo, decine di persone, condannate all'ergastolo, ma andrei troppo sul generale, sono dati che abbiamo tutti".

Secondo De Stefano, i "vecchi" collaboratori o non raccontano fatti specifici oppure, quando lo fanno, sarebbero smentiti clamorosamente dai processi celebrati negli scorsi anni: "Cioè è un po' un nonsense, mi perdoni il francesimo, cioè dire e utilizzare dichiarazioni di collaboratori ignorando gli esami dibattimentali" dice rivolgendosi al pm Lombardo.

DE STEFANO "DIFENDE" FALCOMATA'

Anche su Fiume, per anni intraneo alla famiglia De Stefano, l'avvocato è netto: "Le contraddizioni che rilevo dopo dieci anni sono violentissime. Violentissime e travolgono anche delle cose che riguardano persone su cui mi sia consentito spendere una parola, anche se detta da me magari io porterò sfortuna, voglio dire per esempio la questione Falcomatà, Fiume dice nelle dichiarazioni rese in merito a etc. Etc., non le sarà sfuggito questo fatto, che gli dissero Carmine tornando da un colloquio con Pasquale Condello, disse Pasquale Condello tutta una cosa con Falcomatà, l'ultimo fiume. Il Fiume del 2002 racconta lo stesso episodio, però non è Falcomatà quello

che è tutta una cosa con Pasquale Condello. È un'altra persona che non è imputata qua e non voglio nominare. Quindi voglio dire, ma non è che io adesso mi voglio mettere dietro le spalle del povero Falcomatà che era un grande signore, mi consenta di dirlo, perché è stato mio collega al Consiglio comunale, ed è una persona sulla quale si dovrebbero lavare la bocca tante persone. Io non credo nella maniera più assoluta, metterei la mano sul fuoco sull'onestà di quella persona. Ho voluta dirla questa cosa perché mi ha un po' indignata questa cosa, anche perché (inc.) senza dire niente che possa riscontrare questa prova. Allora come si fa a buttare nel carbone acceso l'immagine di un sindaco che ha veramente caratterizzato la città come una primavera, per dare una volta un po' a tutto lungomare, un'immagine etc. e dire era tutta una cosa con Pasquale Condello. Detto da chi? Da Fiume. Ma con quali riscontri?".

Essere considerato l'eminenza grigia della 'ndrangheta, il capo della cupola massonica, "Il Massimo", sarebbero tutte circostanze dettate dunque dal fatto di portare un cognome "pesante", anche se il legale si intrattiene per diversi minuti nel tratteggiare la natura sana della propria famiglia. Ma anche da una vulgata popolare, insistente all'interno della città e, in maniera ancor più pericolosa, negli ambienti di 'ndrangheta: "Quindi Lei vuole che in un ambiente del genere circolino notizie solo vere? Non credo! Credo che in parte queste notizie si formino per una serie di fatti che conseguono, gli articoli di stampa, i provvedimenti giudiziari che colpiscono la persona, perché anche questo va messo in conto. Perché nel momento in cui una persona viene colpita da un provvedimento giudiziario. Cioè l'Avvocato De Stefano viene arrestato nel 1986, dopo tredici giorni questo mandato di cattura viene annullato dal Tribunale della Libertà di Reggio Calabria per assoluta mancanza di indizi. Lei vuole che non resti traccia di questo? Anche se c'è una assoluzione, anche se dopo tredici giorni il Tribunale mi scarcera".

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LE VERSIONI ALTERNATIVE

De Stefano si confronta anche in maniera accesa con la Dda di Reggio Calabria, quando il pm Lombardo gli contesta alcune intercettazioni riguardanti anche Giovanni Zumbo, il commercialista-spione già condannato come talpa dei clan, ma anche quando si farebbe riferimento a gradi e rituali di 'ndrangheta. De Stefano ammette di conoscere Zumbo, anche per pregresse vicende familiari, ma nega qualsiasi tipo di "soffiata" ricevuta dal commercialista: "Sì, come no, dal punto di vista fisico sicuramente, ma non ho rapporti assolutamente. Come del resto dimostrano le conversazioni perché voglio dire, adesso non è che mi voglio rifare sempre alle sentenze passate, però ci sono delle pietre miliari voglio dire, che per l'Accusa sono delle pietre miliari, perché noi ci attacchiamo qua alla conversazione di Zumbo, alla conversazione tra me e mio figlio, che dico che sono buffonate, che non sono buffonate o che mio padre è il re dei re, o che era questo, era quest'altro".

Prova sempre a fornire una versione alternativa, De Stefano, anche quando il pm Lombardo gli contesta le conversazioni in cui Filippo Chirico, genero del boss Pasquale Libri, conversando con una donna, indicherebbe l'avvocato come una delle personalità segrete in grado di governare la città sotto il profilo criminale: "Allora la spiegazione che mi do io nella mia modestia, diciamo, è che Chirico non si sia mai potuto riferire a me, ma caso mai si sia riferito a mio cugino. Dice: "Ma è morto nel 77", è vero però i fatti di cui parliamo hanno radice in quegli anni, perché io non è che questo lo dico io, lo dicono loro che hanno radice in quegli anni, lo dicono loro nel caso di imputazione, perché io questo nuovo non ce l'ho tanto chiaro, devo dire la verità".

Nega le accuse generali, quelle che lo vorrebbero a capo della cupola, ma anche, rispondendo al pm Walter Ignazitto, riferite all'inchiesta "Sistema Reggio", la prima a colpire l'avvocato De Stefano. In quell'occasione, il legale viene accusato di essere "Il Massimo", colui che sarebbe riuscito a sbrogliare la vicenda relativa al "Ritrovo Libertà", l'ex bar Malavenda conteso a suon di bombe dagli schieramenti Destefaniano e Condelliano: "Io ho letto qualche intercettazione, ho letto quasi tutte le intercettazioni di Nucera e ho visto che quello è il suo dire, ci sono tutta una serie di contraddizioni di cui ci occuperemo in seguito, perché l'abbia detto io ho pensato che l'abbia detto per un fatto diciamo intanto caratteriale, perché doveva fare coraggio, trarre forza". Lui, Giorgio De Stefano, non avrebbe avuto alcun ruolo. Così come non avrebbe avuto più contatti con gli altri membri della famiglia di Archi: "Ho pagato quella vicinanza con quella condanna per concorso esterno e naturalmente ho cercato di attutire questa vicinanza".