Il branco pestò a sangue il fidanzatino della 13enne di Melito Porto Salvo

iamonte giovannidi Angela Panzera - "Mi hanno portato in una strada buia e senza uscita che si trova nei pressi del corso Garibaldi di Melito Porto Salvo e precisamente in una traversa prima della gioielliera Pipari. Lungo la strada non mi riferivano il motivo per il quale dovevo andare insieme a loro, ma io senza avere nessuna paura li ho seguiti tranquillamente. Giunti sul posto, all'improvviso Davide Schimizzi mi riferiva che dovevo lasciare stare Ginevra ( nome di fantasia ndr) e nello stesso tempo, con forza mi tirava giù lo scalda collo che tenevo in testa, mettendomelo davanti agli occhi in modo tale da non farmi vedere nulla. Nella circostanza Davide e Antonio iniziavano a darmi calci, non ricordo se il terzo soggetto che ribadisco di non conoscere, partecipasse all'azione violenta nei miei confronti anche perché era a terra. Mi sono alzato dicendo loro che non volevo essere toccato e nel frattempo Antonio Verduci, incurante di quello che avevo appena detto, mi dava uno schiaffo. Dopo di ciò andavano via". È il 25 novembre dello scorso anno a raccontare ai Carabinieri di aver subito un vero e proprio pestaggio è un giovane, poco più che ventenne, di Condofuri. Ma non è un ragazzo qualunque: è il fidanzatino che Ginevra, la giovane di Melito Porto Salvo, presumibilmente violentata da 8 suoi compaesani- fra cui Giovanni Iamonte (nella foto) figlio di Remingo, boss della 'ndrina locale- quando aveva 13 anni. Violenze che sarebbero durate due anni e che il due settembre scorso hanno visto il gip reggino, Barbara Bennato, emettere un'ordinanza di custodia cautelare a carico di tutti e otto mentre un altro ragazzo è stato sottoposto all'obbligo di firma poiché accusato dalla Procura "solo" di favoreggiamento. Per gli altri infatti le accuse mosse dal Procuratore aggiunto Gaetano Paci e dai pm Massimo Baraldo e Francesco Ponzetta sono ben più gravi. A vario titolo sono ritenuti responsabili di violenza sessuale di gruppo aggravata, atti sessuali con minorenne, detenzione di materiale pedopornografico, violenza privata aggravata, lesioni personali aggravati e atti persecutori. Nelle accuse quindi spunta anche la presunta aggressione che Giovanni Iamonte insieme a Davide Schimizzi e Antonio Verduci avrebbero perpetrato ai danni del ragazzo, "reo" di aver intrapreso una relazione sentimentale con la minore agli inizi del 2014. Nello specifico Schimizzi e Verduci, insieme ad unalatra persona ancora non identificata, lo avrebbero preso a calci e a pugni mentre Iamonte sarebbe stato il mandante del blitz anche se al ragazzo apparirà come il "riappacificatore".

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Sì perché il giovane non penserà minimamente di rivolgersi alle forze dell'ordine, né alla sua famiglia né a quella della ragazza. Terrà tutto per sé e anche ai Carabinieri ometterà di riferire alcune circostanze. Paura nella paura, omertà nell'omertà

Le ferite però ci sono e fanno male. Il ragazzo si reca all'ospedale melitese il 9 marzo del 2014 e lì per " paura dichiarò- è scritto nelle carte dell'inchiesta- "di essere caduto da solo". E che avesse paura, "tanto da non denunciare neanche l'accaduto, oltre a non dichiararlo al Pronto soccorso,- scrive il gip- è ben comprensibile, tenuto conto che egli era perfettamente a conoscenza dei collegamenti dei suoi aggressori a Giovanni Iamonte, rampollo di una delle più feroci famiglie della 'ndnrgheta locale.

Il cognome Iamonte- dirà ai Carbinieri il ragazzo durante il suo interrogatorio- è notorio in tutta la zona, però non sono a conoscenza se faccia parte o meno di qualche contesto criminale. Visto che non voglio avere nulla a che fare con queste persone, ho ritenuto opportuno non sporgere alcuna denuncia".

Non finisce qui però. Con gli Iamonte non si scherza. Occorre subito trovare una soluzione ed ecco che il ventenne si reca al cospetto di Giovanni Iamonte: occorre chiarire.

"Proprio per lo spessore criminale di Iamonte e per paura di gravi ritorsioni, chiosa il giudice Bennato, egli si era addirittura determinato dopo qualche tempo a chiarire la situazione con lo stesso Iamonte . Lui mi ha rassicurato dicendomi testualmente: "non ti preoccupare ora me la vedo io, parlo io con loro". Sentendo ciò mi sono tranquillizzato e sono andato via". Per la Procura Iamonte avrebbe fatto il "pacere" della situazione, o meglio lo gnorri. La storia non finisce qui. Le violenze del branco continuavano nella loro escalation, ma Ginevra si doveva annientare soprattutto psicologicamente. Iamonte3 infatti, le metterà in testa che il suo fidanzatino era andato in giro a sparlare di lei. Anzi a dire "che era una poco di buono"

"Qualche giorno dopo un episodio di violenza sessuale di gruppo la giovane aveva chiesto al padre di accompagnarlo dal ragazzo ( di Condofuri ndr) , dopo aver saputo da Giovanni Iamonte che costui era andato in giro a parlare male di lei. Per questo accompagnata dal genitore si era recata a Condofuri, luogo di residenza del ragazzo e qui aveva appreso del pestaggio commesso da Iamonte, Schimizzi e da altri loro amici. Pertanto secondo la ragazza, contrariamente a quanto riferito dal giovane, lo Iamonte non era intervenuto solo in seguito, a garanzia dell'incolumità del pestato, ma avrebbe avuto una parte attiva nell'aggressione".

Ecco cosa dirà agli inquirenti la piccola Ginevra sull'episodio:

" Giovanni ( Iamonte ndr) mi aveva detto che un certo tizio di Condofuri, non mi aveva detto il nome però mi ha detto di Condofuri e io solo con lui mi ero sentita di Condofuri, io ho capito subito che si trattava di lui, allora mi ha detto che Omissis aveva detto delle cose su di me in giro e quando è venuto mio padre, io deciso di non dirgli quello che era successo, ma ho deciso di dirgli che Davide ( Schimizzi ndr) mi aveva detto che Omiss aveva detto queste cose in giro di me(...) siamo andati a Condofuri sul lungomare, sono rimasta scioccata perché lui mi ha detto che (..) Davide era andato da Nino con i suoi amici (Antonio, Lorenzo, Michele) e anche con questo Giovanni ad alzare le mani".

Forse il ragazzino ha pensato di poter dire ai Carabinieri che Iamonte non solo non aveva avuto un ruolo nel pestaggio, ma che addirittura si sarebbe innalzato a "uomo di pace". L'autorità giudiziaria naturalmente non se l'è bevuta né tantomeno la piccola Ginevra. Figuriamoci se tre presunti teppistelli di periferia si sarebbero permessi di toccare un coetaneo senza il bene placet del rampollo di casa Iamonte. Il gip lo scrive a chiare lettere.

"La giovane, è riportato nelle carte dell'operazione Ricatto, profonda conoscitrice delle dinamiche del gruppo ne aveva esattamente colto la matrice e la conseguente evoluzione fattuale, riconducendo quell'operazione a chi, nel gruppo, era dotato di un indiscutibile carisma e spessore criminale, senza la cui deliberazione ed approvazione alcuna condotta simile, poi effettivamente agita, avrebbe potuta essere autonomamente decisa e perpetrata dagli altri. Sotto altro profilo, la connotazione tipicamente "mafiosa" della spedizione appare in tutta la sua evidenza, con caratteristiche tali da poterla sussumere nel tradizionale agire di quei contesti criminali, connaturati allo stesso Iamonte. E a rafforzare tale connotazione depone lo stesso atteggiamento del ragazzo che , ancorchè vittima dell'aggressione, invece di denunciare all'autorità giudiziaria, si era direttamente rivolto allo Iamonte per chiedergli tutela e protezione, cosi riconoscendogli un'autorevolezza criminale "calmierante" (!) mutuata dalla sua appartenenza alla nota famiglia di 'ndrangheta. Ma il gruppo non si vera accontentato di dissuadere il ragazzo dal frequentare la minore, ritenendo necessario persuadere costei dal non cercarlo oltremodo., innescando a tal fine l'odiosa macchina del fango. Infatti dopo l'aggressione del ragazzo, lo Iamonte aveva perseguito con premeditazione il suo obiettivo, riferendo alla giovane di una presunta diffamazione operata nei suoi confronti proprio dal ragazzo, così distruggendo quel flebile barlume di luce che la stessa aveva creduto di rinvenire nella nuova frequentazione col ragazzo e la speranza di percorrere un'alternativa sana e normale al baratro che l'aspettava. La minore era caduta nella trappola, credendo alle parole di Giovanni; la mortificazione per quanto appreso l'aveva allora spinta a chiedere un incontro chiarificatore con Omissis ( il fidanzatino) che le aveva consentito di conoscere la verità dei fatti. Il chiarimento non era stato tuttavia salvifico, poiché il ragazzo non avrebbe mai più ripreso la relazione con la giovane, che dunque si era avviata vero un periodo ancora più buio e difficile di quello appena trascorso".

L'ha lasciata sola. Poteva salvarla e invece anche lui gli ha voltato le spalle. Si può "abbandonare" una ragazzina di 15 anni in balia di un branco in nome della paura? Per questa domanda la risposta sarebbe semplice quanto scontata, ma a Melito Porto Salvo, e anche nella vicina Condofuri, dove comandano rispettivamente gli Iamonte e i Casile-Rodà, niente è dato per certo. Niente è normale. Per questo ragazzo è stato "normale" tenersi calci, pugni e schiaffi e andare a chiedere "protezione" al figlio del boss. Andare dai Carabinieri? Neanche per idea. Mentire alle forze dell'ordine? Certo, tanto non l'avrebbero mai capito. Raccontare di quello che stava succedendo alla sua fidanzatina alle rispettive famiglie? Non se ne parla. Tanto la pelle ormai era messa in salvo. Quella di Ginevra? Ma chi se ne frega.