“Porto di Gioia Tauro base logistica dei narcos della Piana”

GioiaTauro Porto22aprdi Angela Panzera - "Gli elementi investigativi hanno palesato una struttura organizzata in maniera gerarchica, la predisposizione di uomini e mezzi, la suddivisione di compiti con tanto di turni di servizi ad hoc fra gli operai del porto di Gioia Tauro, l'utilizzo di luoghi e di beni comuni per la gestione dell'illecito traffico, quando non anche la disponibilità di documenti falsi". A descrivere cosi i narcotrafficanti della Piana di Gioia Tauro è il gup distrettuale reggino, Barbara Bennato, che ha depositato nei giorni scorsi le motivazioni della sentenza "Puerto Liberado". Il 9 dicembre dello scorso anno infatti, il gup- avvalorando l'impianto sostenuto dal pm antimafia Luca Miceli- ha inflitto 18 condanne, e disposto una sola assoluzione, per oltre 200 anni di carcere. Durissime le pene comminate dal gup: 20 anni di carcere ai fratelli Alfonso e Giuseppe Brandimarte, 16 anni e 30 mila euro di multa per Antonio Calabrò, 14 anni e 30 mila euro per Vinicio Cambrea e 14 anni di carcere per Antonio Campanella. Il gup ha disposto invece, che dovrà passare invece 12 anni dietro le sbarre Vincenzo Caratozzolo mentre 16 anni e 30 mila euro di multa sono stati inflitti a Vincenzo Crisafi. Per il collaboratore di giustizia Antonio Femia, alias "Titta" il gup ha comminato una condanna a 10 anni di carcere. Femia, per cui l'accusa aveva richiesto una condanna a 8 anni e 2 mesi di reclusione, dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta "Puerto Liberado" e in quella denominata "Santa Fè", ha deciso di collaborare con il pm Miceli e il sostituto procuratore Paolo Sirleo, adesso trasferito a Roma. Agli inquirenti ha riferito sui traffici di droga all'interno del porto di Gioia Tauro e soprattutto ha fatto nomi e cognomi dei presunti appartenenti all'organizzazione criminale. Agli altri soggetti coinvolti nell'inchiesta, il gup ha disposto 10 anni di carcere per Giuseppe Galluccio, Davide Gentile e Antonio Giovanni Staiti mentre per Rocco Gagliostro oltre ai dieci anni di carcere è stata inflitta una multa di 30 mila euro. Stessa multa per Mario Ietto, punito a 12 anni di carcere, per Francesco Nirta, a cui sono stati comminati 6 anni, Gianpietro Sgambaterra, a cui sono stati inflitti 8 anni, e Francesco Siviglia punito però a 12 anni di carcere. Infine ammonta a 4 anni di carcere la pena comminata a Vincenzo Trimarchi mentre l'unica assoluzione è quella rimediata, così come richiesto dal pm Miceli, a Giuseppe Condello.

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"Sussistono gli elementi probatori- scrive il gup Bennato- che consentono fondatamente di affermare che l'illecita attività posta in essere dagli imputati è consistita nell'attività di organizzazione e predisposizione dei mezzi necessari per effettuare traffici di stupefacenti". Le prove sarebbero tantissime: contenuto delle conversazioni telefoniche e telematiche, più o meno esplicite, in cui si fa riferimento al tenore degli affari illeciti in trema di stupefacenti, dai viaggi degli imputati da e verso la Calabria e da e verso il Sud America per la predisposizione di alcune transazioni, dai sequestri di droga effettuati dalla polizia giudiziaria sia nel nostro Paese, in particolare nel Porto di Gioia Tauro. Lo scalo calabrese infatti era la base logistica dei narcos della Piana. " Le conversazioni intercettate dimostrano che il gruppo criminale- continua il gup- ha la possibilità di operare sia sul porto di Gioia Tauro sia su quelli di Anversa e Rotterdam, con la presenza di squadre di operatori infedeli pronti a procedere al recupero delle partite di cocaina che giungono dal Sud America". Tutta l'indagine infatti, gira intorno alla figura dei fratelli Brandimarte e nello specifico le redini dell'organizzazione sarebbero state tenute da Giuseppe Brandimarte quello che le Fiamme Gialle considerano il vero e proprio "inventore" delle "squadre", ossia quei gruppi di presunti dipendenti infedeli che nello scalo di Gioia Tauro, come negli altri porti del mondo, si occupano di imbottire i container di cocaina che altri colleghi, altrettanto presunti infedeli, si occupano di svuotare quando la nave madre arriva a destinazione.

"I fratelli Brandimarte- è scritto nelle motivazioni- erano indubbiamente i promotori dell'attività illecita, i quali, attraverso il numeroso gruppo di sodali a loro riconducibile, assicurano un vero e proprio "servizio" all'interno del Porto di Gioia Tauro: la ricezione e lo scarico di ingenti carichi di cocaina, nonché il trasporto fuori dall'area portuale. L'indubbia posizione di preminenza gerarchica rivestita dai fratelli Brandimarte emerge, all'evidenza, dal contenuto delle numerosissime intercettazioni (telefoniche e telematiche), nel corso delle quali, sono sempre i fratelli Brandimarte ad impartire disposizioni agli altri sodali, che non hanno autonomia operativa, se non autorizzati da loro. (...) La loro funzione di promotori dell'associazione emerge chiaramente dalle continue richieste di incontro effettuate ai vari sodali (gran parte dei quali avvenivano all'interno dell'abitazione di Giuseppe Brandimarte) nel corso dei quali venivano date disposizioni in merito alle partite di stupefacente in arrivo dal Sud America(...) I containers utilizzati per occultare le partite di cocaina, giunti al porto di destinazione venivano recuperati attraverso le squadre di operai infedeli i quali prestavano la loro opera per il recupero e il trasporto all'esterno dell'aera portuale delle partite di cocaina, utilizzando diverse modalità, ad esempio gli automezzi furgonati della "Medcenter container terminal spa" di Gioia Tauro, come contestato nel coro dell'attività di indagine che ha condotto all'arresto di Trimarchi Vincenzo. La complessità del fenomeno osservato ha evidenziato poi, l'estrema pericolosità sociale dell'organizzazione criminale, strutturata su diversi livelli, da quello più basso, costituito dalle squadre di operai portuali infedeli, ai vertici dell'organizzazione, rappresentata da Giuseppe e Alfonso Brandimarte, con spiccata proiezione internazionale, capacità di contrattare direttamente con i narcos sudamericani, con emissari calabresi da inviare in Sud America e emissari sudamericani ospitati in Italia. Un'organizzazione pericolosa al punto da testare- chiosa il gup- con carichi di prova, la risposta dei dispositivi di contrasto delle forze di polizia e degli organi ispettivi, che ha rivelato sicura capacità di sfruttare la struttura logistica dei maggiori porti europei, la disponibilità di enormi risorse finanziare, la capacità di variare il proprio modus operandi utilizzato per il trasporto ed il recupero delle partite di cocaina, di avvalersi di appositi strumenti, come utilizzo di cellulare Blackberry per le comunicazioni estremamente riservate, utilizzo di un codice per la criptazione dei messaggi relativi ai dati delle navi e dei containers all'interno dei quali era occultata la cocaina".

L'inchiesta "Puerto Liberado", alla luce della sentenza emessa dal gup, ha retto quindi nel primo troncone processuale. A giovare all'accusa sono state le dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia fra cui uno degli imputati ossia Antonio Femia alias "Titta" che è risultato essere "credibile". .«Ho conosciuto Alfonso e Giuseppe Brandimarte nel 2008-2009, ha messo a verbale Femia, presentatimi da mio cugino Giuseppe Pronestì che lavorava al porto. Siccome Nicodemo Fuda (coinvolto nell'operazione "Santa Fe" ndr) aveva avuto dei problemi con chi in precedenza si occupava dello scarico per lui, omissis, chiesi a mio cugini di presentarmi qualcuno al porto in grado di fare lo scarico e lui mi portò da Brandimarte. Il gruppo dei Brandimarte era composto da Alfonso Brandimarte, Giuseppe, Davide Gentile, Francesco Siviglia e Vincenzo Trimarchi che si occupava di cambiare i turni e portare la roba fuori dal porto. Fu Alfonso Brandimarte a dirmi che nel caso dell'arresto in flagranza di Vincenzo Trimarchi la droga era destinata ad Giuseppe Alvaro che molte volte si serviva dei Brandimarte per gli scarichi della droga. Anche Giuseppe Alvaro mi ha confermato questa circostanza. Anche Giuseppe Alvaro mi ha confermato questa circostanza», così dirà Femia agli inquirenti. E adesso questo dice di lui il giudice Bennato:

"Le dichiarazioni rese dal Femia sono apparse precise e dettagliate, logicamente compatibili con pregresse acquisizioni investigative e hanno riguardato in primo luogo fatti nei quali il medesimo è stato personalmente coinvolto, o per avervi direttamente preso parte o assistito ovvero esplicitando, quanto ai fatti conosciuti in via indiretta, le proprie fonti di conoscenza, mettendo quindi in condizione l'Ufficio di Procura di poter avviare ogni utile verifica al riguardo. Quanto fin qui riferito dal Femia trova importantissime conferme negli esiti di attività di investigazione autonomamente svolte dalla Polizia giudiziaria. Sotto tale profilo può senz'altro sin d'ora sottolinearsi la rilevanza e la novità di tale collaborazione. Per un verso, deve sottolinearsi che, attraverso le dichiarazioni rese dal Femia, è stato infatti possibile non soltanto rafforzare in maniera decisiva il quadro probatorio a carico dei computati nel presente procedimento, ma anche avviare indagini preliminari nei confronti di soggetti non ancora interessati da attività investigativa da parte delle Forze di Polizia".

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Il processo di primo grado: http://ildispaccio.it/reggio-calabria/93780-narcotraffico-tramite-il-porto-di-gioia-tauro-oltre-200-anni-sul-gruppo-brandimarte