Paolo Romeo puntava alla revisione della propria condanna

romeopaolo10mag 500di Claudio Cordova - Quella sentenza proprio non gli andava giù. Gli aveva tarpato le ali di una carriera politica che sembrava lanciatissima. Lo bollava come eminenza grigia in contatto con mondi occulti. Lo aveva reso un pregiudicato, svelandone i rapporti con l'eversione nera e con la 'ndrangheta. Gli impediva di muoversi liberamente nel reticolo relazionale che, da sempre, era la sua forza, costringendolo, per esempio, a non apparire ufficialmente nel Circolo Posidonia, una della realtà con cui avrebbe fatto incetta di finanziamenti pubblici.

Anche per questo, Paolo Romeo puntava alla revisione della propria condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, rimediata nell'ambito del procedimento "Olimpia", inchiesta capostipite della lotta alla 'ndrangheta, che ha ricostruito le dinamiche della seconda guerra di mafia che ha insanguinato Reggio Calabria dal 1985 al 1991.

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Paolo Romeo, però, già da tempo, lavorava per riabilitarsi, per riscrivere non solo la sua storia, ma anche quella della 'ndrangheta e della città. E' lui stesso a dirlo nel corso dell'interrogatorio di garanzia, dopo essere stato arrestato nell'ambito dell'inchiesta "Fata Morgana": "Nel febbraio del 2004 ho subito una condanna che ancora oggi mi brucia e ritengo ingiusta, per la quale da tempo sto lavorando, per ricercare elementi nuovi che mi consentano di avviare una revisione di quella sentenza, che immaginavo di dovere dimenticare, nonostante l'ingiustizia, ma che queste vicende, anche quelle odierne, mi danno spinta e ragione per ricercare gli elementi che mi consentano di ottenere una giusta revisione della stessa, per ragioni che altrove saranno illustrate".

E' proprio l'avvocato, considerato eminenza grigia dei clan, a ripercorrere le ultime fasi della vicenda giudiziaria che lo ha interessato: "All'esito della sentenza di condanna, con estrema dignità, prima ancora che mi venisse notificato il provvedimento, l'ordine di custodia, mi sono costituito nel carcere di Vibo Valentia, per espiare con serenità una pena che mi era stata inflitta da uno Stato che io rispetto, verso il quale ho il senso profondo dello stesso e degli organi che lo esprimono. Ho espiato con serenità la pena che era di tre anni, ne ho scontato due anni e sette mesi, perché altri tre mesi li avevo già espiati per carcerazione preventiva in occasione del provvedimento custodiale che era stato emesso quando era scattata l'operazione Olimpia".

Proprio la condanna per determinati reati, quale è quello per cui Paolo Romeo è stato condannato, determina la decadenza da una serie di poteri, facoltà, benefici e possibilità, tra cui appunto sostanzialmente quello che il legale, nell'impostazione della Dda di Reggio Calabria, faceva con il circolo Posidonia, che gli consentiva, in un certo senso, di interloquire con Pubbliche Amministrazioni, con organi istituzionali e di svolgere all'interno di un'associazione un ruolo preminente. Ora, nella costruzione del Pubblico Ministero, dell'ufficio di Procura, questa idea, questa intuizione sembra chiudere il cerchio con quella intercettazione nella quale Romeo dice: "Facciamo Cannizzaro, tanto o Cannizzaro a chiunque sia...". Si parla del ruolo di presidente del Circolo Posidonia e per la Dda è una degli elementi del fatto che Paolo Romeo ne sarebbe stato comunque il dominus, utilizzandolo come paravento dell'esercizio di una serie di attività che avrebbe dovuto accrescere il potere al fine di servire gli interessi dell'azienda criminale. Ma anche nel corso dell'interrogatorio di garanzia, Romeo mostra tutto il proprio disappunto verso la sentenza che lo ha visto soccombere negli scorsi anni: "Ecco, poi insomma mi metto a ridere quando vedo alcune affermazioni sul logge massoniche, su poteri, su associazioni segrete insomma ecco, qui siamo poi alle solite insomma ecco, si vivono fantasmi del passato che contrariamente al fatto viene scritto qui e questo volevo rimproverare ai Pubblici Ministeri, non possono scrivere che queste circostanze relative alle super logge massoniche o ad altri filoni investigativi hanno trovato riscontro nella sentenza d condanna, perché quella, sì, è una truffa".

"Sa perché è una truffa?" chiede Paolo Romeo. Il legale dà anche la sua risposta, la sua verità: "Perché io vengo praticamente indagato ed imputato per un capo d'imputazione che era il 416 bis, dopo sei anni di dibattimento viene modificato il capo d'imputazione ed

io vado in giudizio immediato all'interno del "Processo Olimpia", quando viene imputato il capo d'imputazione... mi si contesta che volevo far fare la pace durante la guerra

alle bande armate qui su Reggio, che volevo dividere l'Italia in tre, che io addirittura sono nato nel '47, che facevo parte di Gladio, che ero il "Lima" reggino e che con Freda volevo fare la super loggia massonica implicando tutti, sono queste cose che non sono state

dimostrate dalla sentenza, anzi sono state escluse, vi pregherei di andare non a fare copia e incolla, ma a leggere le sentenze e gli sviluppi di un procedimento prima di affermare con sicumera, così come qui viene affermato che sono stati tutti questi elementi oggetto di una prova ormai attraverso una sentenza passato in giudicato, sono circostanze non vere, sono false, che hanno contribuito a realizzare una pubblicistica anche sul tema".

Il tema, Paolo Romeo lo sente forte. E anche di fronte ai pm della Dda ammette il proprio proposito di cambiare il corso della storiaa: "Io l'altro giorno stavo lavorando in questo periodo attorno alla revisione, ad un'istanza di revisione di quel vecchio processo sulla base di una serie di elementi, di novità che sono emersi successivamente, ma soprattutto per un bisogno di verità in ordine al problema che riguarda la fuga di Franco Freda, voi fra diciamo i file dei vari computer troverete anche qualche scritto in questa direzione sul quale stavo lavorando, ma non c'è niente di più falso in ordine a questa vicenda che ha costituito un fatto drammatico per la mia esistenza, perché questo è un episodio che è di natura politica, che ha (inc.) origine da un fatto strettamente di solidarietà politica legata agli Anni di Piombo, del 1980 o alla fine degli Anni di Piombo, e doveva essere definita all'interno di una vicenda che è di natura politica, mentre attraverso i collaboratori è stata ammantata poi di altri significati, perché c'erano i teoremi secondo cui bisognava dare una forte diciamo prova intorno all'esistenza di un patto tra eversioni di destra e criminalità organizzata, massoneria, servizi segreti e quant'altro, per cui si sono sbizzarriti i collaboratori che concertavano tra di loro, tra cui quel famoso Giacomo Lauro che io denunciai più volte perché ho colto lo stesso in flagranza mentre da collaboratore di giustizia infedele consumava uno spaccio di droga a Ravenna con suo fratello e con i Menize (fonetico) e con tutti questi, e per ragioni di Stato il Dottore Mollace e il Dottore Cisterna hanno archiviato un procedimento di questo genere concedendo a Lauro poi di consumare altri misfatti successivamente a questa vicenda, ma che devo raccontarvi? Lo racconterò nelle sedi giuste per potere produrre risultati sul piano giudiziario".

Nomi e circostanze che ritornano e vengono anche cristallizzati dalle intercettazioni contenute nell'inchiesta "Mammasantissima", che attribuisce a Romeo il ruolo di vertice nella cupola segreta della 'ndrangheta. Già il 10 dicembre 2009, dialogando con altre persone, Romeo affrontava l'argomento relativo alla possibilità di chiedere la revisione della condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, ancorandola, in particolare, alla vicenda Freda. Secondo quanto accertato da varie sentenze, Paolo Romeo ed altri avrebbero avuto un ruolo nel gestire la latitanza del celebre terrorista nero, che avrebbe trascorso un periodo di irreperibilità a Reggio Calabria, proprio grazie a elementi della 'ndrangheta. Dopo avere sintetizzato il percorso motivazionale (i magistrati «sostengono che Freda si è rivolto alla 'Ndrangheta» e «la 'Ndrangheta si è rivolta a me e io ho favorito a Freda»), Romeo evidenziava che «basta dimostrare il contrario» e, cioè, che «Freda si è rivolto a me che io marginalmente per alcune cose sono stato aiutato da Paolo Martino... là da Paolo De Stefano per l'espatrio»: secondo quest'impostazione, dunque, «non è che io gli ho fatto un favore ai De Stefano, ma i De Stefano mi hanno fatto un favore a me».

Ai fini della revisione, perciò, sarebbe stata sufficiente «una indagine difensiva dove quello che me lo ha portato che è un soggetto politico viene» e «racconta la verità», atteso che «la carriera politica l'ha finita», «i reati sono prescritti» e «dice che me lo ha portato lui e chi è venuto a trovarlo». Addirittura, Romeo azzardava che ciò sarebbe stato utile «non tanto per la revisione del processo», ma ai fini di ristabilire la verità storica, nel senso che «Freda non si è rivolto alla 'Ndrangheta per trovarsi là» in quanto «non aveva interlocuzioni». Nel prosieguo del dialogo, Romeo non si dichiarava estraneo all'evento, tanto che tornava a ribadire che a Freda, proveniente da Catanzaro, «siamo andati a prenderlo a Villa» San Giovanni. Con riferimento al successivo allontanamento di Freda da Reggio Calabria verso Ventimiglia ed al suo espatrio, ribadiva «il fatto storico» nei seguenti termini: «questo qua che per i cazzi suoi e per vie politiche praticamente tentava di andarsene» da Reggio Calabria ma «gli sono fallite queste vie politiche... no... e mi è rimasto questo "collo" a me». In origine, proseguiva, infatti «io lo dovevo tenere dieci giorni quindici giorni in uno spirito di solidarietà politica poi ognuno si è dileguato e io e mi è rimasto il cerino acceso a me». Pertanto, proseguiva, «il mio problema era come questo arrivasse in Francia e siccome per arrivare in Francia c'era Martino che era in quel periodo assistito da me... era mio cliente eccetera eccetera... avevo questo problema gliene ho parlato... gli ho detto come cazzo si può fare questo qua che arrivi in Francia... ehh... in effetti a questo se lo erano venduto e hanno fatto la perquisizione a Ventimiglia se ne era andato un giorno prima sennò lo avevano arrestato già a Ventimiglia prima che arrivasse in... incomprensibile...».

Pochi dubbi sul fatto, quindi, e anche sul coinvolgimento di uomini del clan De Stefano, come il famigerato Paolo Martino. Ma Romeo lavorava per dare una diversa chiave di lettura.

A parere del legale, dunque, «la vicenda storica raccontata dai protagonisti» ricondurrebbe «l'aspetto Freda» ad «un fatto politico» tanto da non poter «essere utilizzata per sostenere che io ho favorito i De Stefano», cosa che «è una stronzata ma pure per i De Stefano». Questi ultimi, e, in particolare, gli «appartenenti al gruppo De Stefano lo hanno potuto fare un favore personale» a Romeo «per portarmelo in un certo posto in un certo periodo» e, perciò, «è rimasto quindici giorni da Barreca come Barreca dice e non tre mesi quanto lui dice... venti giorni è rimasto... doveva stare dieci giorni poi... una ventina di giorni».

Gli interlocutori di Paolo Romeo non conoscevano gli aspetti fattuali, con particolare riferimento al coinvolgimento di un soggetto politico tuttora ignoto, la cui carriera era terminata e che non sarebbe incorso in alcuna responsabilità per intervenuta prescrizione del delitto: tale dato evidenzia non solo la effettività del ruolo di Romeo nella vicenda, ma, soprattutto, la falsità della ricostruzione alternativa che lo stesso aveva intenzione di portare avanti, avvalendosi di false dichiarazioni in grado di innescare il giudizio di revisione.

Tra le persone da contattare vi sarebbe stato anche l'ex europarlamentare Umberto Pirilli, uomo vicino a Paolo Romeo. L'argomento, infatti, torna il 23 gennaio 2015, quando Romeo parla con la moglie di Pirilli, interessato dal procedimento di divorzio. Su Pirilli, Romeo riferisce che «devo andare a trovarlo» perché «voglio riprendere un po' quella vecchia questione, per fare un po' di chiarezza» e «siccome voglio fare la revisione... è fondamentale un po' ricostruire», atteso che peraltro «tutto è prescritto».

Per gli inquirenti, tale conversazione, letta unitamente alle altre, fuga ogni dubbio sull'identificazione di Pirilli per il soggetto che, unitamente a Romeo e ad altri ha concorso nella vicenda Freda. Coerentemente con quanto emerge dagli atti, dunque, Paolo Romeo, in uno spirito di «solidarietà politica» con Pirilli, del quale, quindi, possono in tal modo ritenersi evidenziati collegamenti con l'eversione di destra, ha ottenuto che esponenti di primo piano della cosca De Stefano si adoperassero per consentire a Freda, che ha per tale via stabilito personali contatti con il defunto boss Paolo De Stefano, di sottrarsi all'Autorità Giudiziaria.

Una storia che Paolo Romeo avrebbe voluto riscrivere.