Il politico è “contiguo ai Commisso di Siderno”: ma il giudice lo assolve

macrisiderno 500di Angela Panzera - Se non fosse per le ultime considerazioni, le pagine della sentenza scritta dal gup Domenico Santoro sulla posizione dell'ex presidente del consiglio comunale Antonio Macrì potrebbero sembrare, da un prima lettura, destinate a un duro monito per un politico accusato di essere al servizio della potente cosca Commisso di Siderno. Macrì però all'esito del processo abbreviato scaturito dall'inchiesta "Morsa sugli appalti" è stato assolto dal reato di associazione mafiosa. L'inchiesta, condotta dalla Squadra mobile e dal Commissariato di Siderno ha sgominato non solo la 'ndrangheta sidernese, ma anche quella di Marina di Gioiosa Jonica. Secondo la Dda, e a secondo il gup che il 2' gennaio scorso ha condannato 21 persone e assolto altre 18, sono state svelate una serie di vicende dalle quali emergono con evidenza la fortissima pressione esercitata dall'organizzazione sull'economia legale ed i meccanismi sottesi alle attività estorsive ricollegabili all'esecuzione dei lavori ed alle attività attraverso le quali si realizza l'ingerenza del sodalizio nel settore dei pubblici appalti. Una parte dell'indagine infine. Ha riguardato i rapporti fra la 'ndrina e la politica. Per il pm antimafia Antonio De Bernardo, Antonio Macrì era un uomo dei Commisso. Per il gup però il materiale probatorio propende verso la non colpevolezza dell'imputato. "L'apporto richiesto dall'indagato- è scritto nelle motivazioni della sentenza- al gotha sidernese per sostenere la sua candidatura alle elezioni regionali risulta essere un momento episodico, bensì segmento di un rapporto sinallagmatico antico nel quale la controprestazione dovuta al "favore" è la garanzia di tutelare e promuovere nell'esercizio delle sue funzioni, gli interessi dell'organizzazione criminale, e di assecondare le strategie, ma è anche la naturale esplicazione di permanenti rapporti esistenti con i personaggi criminali con i quali si rapporta in modo deferente, rafforzati da recenti vincoli di affinità. Il Macrì non è l'uomo prestato alla mafia per il soddisfacimento momentaneo di suoi interessi politici, occasionalmente strumentale ed idoneo ad assecondarne le strategie, rafforzando il potere del gruppo, è piuttosto colui che ne condivide Ideologie, spazi di vita e di tempo libero, momenti riservati". Subito dopo l'arresto però il Riesame reggino ha annullato l'ordinanza di custodia cautelare, decisione confermata poi dalla Cassazione .

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"Nell' articolata requisitoria- continua il gup- il pm ha tentato di evidenziare quelli che ha definito gli errori in cui sarebbe incorso il Tribunale per il Riesame, non senza far precedere l'illustrazione degli elementi di prova da un excursus relativo agli indubbi rapporti fra la 'ndrangheta di Siderno, i Commisso e le loro articolazioni, e la politica, efficacemente rappresentati (si diceva anche in premessa), dalle vicende di Figliomeni Alessandro , Cherubino Cosimo, Verbeni Giovanni, fratello di Roberto, tutti condannati per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, quali partecipi della cosca Commisso.

Orbene, il punto di vista del requirente è chiaro: nel corso del tempo, a fronte dell'iniziale sua volontà di candidarsi alle elezioni regionali, Antonio Macrì non fa altro che seguire i dettami del mastro, adeguandosi alle sue scelte. Che, precisa il requirente, sono politiche ed al contempo mafiose, posto che le vicende inerenti la caduta del Figliomeni, al pari della candidatura del CHERUBINO, sono tutte vicende in cui, in altri termini, la politica è mafia e la mafia è politica".

Tutto ciò però per il gup Santoro non basta a comprovare il reato di associazione mafiosa.

" A ben vedere,- chiosa il gup- è ineludibile una considerazione: tutti gli argomenti di prova che il pm ha ricostruito e letto in maniera unitaria nella sua requisitoria dicono di una realtà che, con tutta evidenza, indica la contiguità di Antonio Macrì alla cosca Commisso e, in particolare, a Giuseppe Commisso ( alias Il Mastro ndr) ed all'anziano Antonio Commisso. Rispetto ai quali, tuttavia, il suo modo di rapportarsi non è suscettibile di lettura diversa da quella offertane dal Tribunale per il Riesame prima e dalla Suprema Corte poi.

Non si è - si intende dire - al cospetto di un uomo politico che possa definirsi, in termini di certezza, un partecipe del sodalizio. Certo, Macrì è persona intimamente legata ai Commisso (anche per ragioni parentali), si rapporta costantemente al mastro, ha con costoro frequentazioni assai pericolose e che - difatti - finiscono con il destare nello stesso imputato preoccupazioni. Ma le sue condotte non assurgono al rango dimostrativo di uno stabile inserimento nel sodalizio mafioso, atteso che le prove che si desumono dal compendio intercettivo si connotano, sotto questo profilo, di contraddittorietà. Diversamente da quanto evidenziato a proposito degli altri soggetti politici citati dal pm nella sua requisitoria, insomma, non si ha prova netta, rassicurante, che Antonio Macrì possa reputarsi un soggetto appartenente alla cosca e che questo legame egli abbia sfruttato al fine di ascendere ad un cursus honorum politico di rilievo. Anzi, egli sembra aver patito questa vicinanza a favore di altri e l'argomento della strumentalità delle sue rinunce rispetto al programma complessivo del sodalizio criminale, pur suggestivo, appare contraddittorio quando, mediante esso, si vuole dimostrare la sua disponibilità al servizio degli associati e, quindi, l'adesione al programma della società di Siderno. Né può dirsi, nel suo caso, inverato che resti effigiato un appoggio di carattere politico che sia stato consapevolmente accettato nell'ottica di mettere la propria posizione politica. in modo "stabile e continuativo" a disposizione di tutti gli affiliati della consorteria e di rendere conto alla stessa del proprio operato (...)

In definitiva, il materiale probatorio in atti non consente di ritenere acquisiti elementi di consistenza e rilevanza tali da permettere di reputare dimostrato che Antonio Macrì abbia incarnato il ruolo, descritto nel capo d'imputazione, di politico di riferimento della cosca.

Resta, dunque, la contiguità cui ha fatto cenno il Tribunale per il Riesame, gli elementi evidenziati nel provvedimento custodiale iniziale, a fronte delle osservazioni difensive non potendo ritenersi indicatori fattuali della partecipazione dell' imputato al sodalizio mafioso".

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La sentenza: http://ildispaccio.it/reggio-calabria/97229-morsa-sugli-appalti-condanne-e-assoluzioni-sulla-ndrangheta-della-locride