Il pizzino del “Supremo” al togato: “Soldi per favorire cosche. Ma questo finirà”

condellopasquale 500di Claudio Cordova - E' ormai nota, perché emersa pubblicamente in dibattimento, la frase pronunciata dal "Supremo", Pasquale Condello, al momento dell'arresto "se ne vedranno delle belle a Reggio Calabria perché si sono rotti determinati equilibri". Una frase inquietante e sibillina, affermata da uno dei capi più carismatici che la 'ndrangheta abbia mai avuto, sorpreso a Pellaro da un blitz del Ros dei Carabinieri il 18 febbraio 2008.

Il dato viene valorizzato nelle carte dell'inchiesta "Mammasantissima", che ha svelato la cupola segreta della 'ndrangheta e messo in correlazione con un manoscritto ritrovato nel covo del superlatitante. Il testo, comprensivo degli errori grammaticali:

«Lei da quando è venuto a Reg. Cal. e sono moltissimi anni A preso accordi con delle cosche favorendoli nei l'horo processi e questo e sotto gli occhi di tutti. Lei da queste cosche a preso moltissimi soldi, e si è assunto l'onere di continuare la guerra con la sua penna a delle persone oneste. Lei non può indossare la toga per scopi personali, o solo, per difendere dei traffici di droga e assassini. Solo perché le danno moltissimi soldi e combattere ingiustamente persone con le mani pulite. Tutto questo finirà».

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È rimasta (ovviamente...) ignota l'identità del destinatario del manoscritto ma certo non è discutibile che si tratti di un magistrato, di un appartenente all'ordine giudiziario reggino, cui, senza troppi giri di parole, Condello,all'epoca latitante, muoveva col suo scritto accuse di collusione e faziosità.

Un manoscritto vergato a mano dal "Supremo" e affidato a suoi fidati emissari, in grado di interfacciarsi direttamente con il destinatario, anziché disporre che altri lo redigessero e lo recapitassero. Ciò era logicamente possibile in quanto non aveva nulla da temere: sapeva, infatti, che il destinatario, una volta lettolo, lo avrebbe dovuto giocoforza restituire, mantenendo il più stretto riserbo, salvo attirare su di sé le attenzioni degli stessi inquirenti. La condotta contestata al destinatario, infatti, va letta in termini di coscienza e volontà «di continuare la guerra» con forme e mezzi differenti contro «persone oneste»: è evidente, dunque, che il soggetto cui era destinata la missiva fosse al servizio di famiglie diverse dalla sua.

Un dato, secondo gli inquirenti, dimostrativo della costante capacità dell'organizzazione criminale, peraltro in un periodo storico in cui Giuseppe De Stefano, considerato il "Crimine" della 'ndrangheta era ancora libero, di intessere e mantenere proficue e stabili relazioni nel caso di specie con appartenenti alla magistratura o alle professioni legali.