Cosenza, Pietro Mancini e la "lezione di storia al sindaco pro tempore" Occhiuto

"Il Sindaco pro-tempore di Cosenza è esperto in materie come appaltoni, affidamenti diretti, concorsi "ad personam", assessorati assegnati a giovani amanti di attempati ex ministroni di Monti, molto esperti in finanze (altrui...), ecc.
Ma, come i suoi consulenti, è assai debole in cultura, storia e conoscenza della lingua italiana. Abbiamo deciso, dunque, di dargli, gratuitamente, alcune indicazioni". A scriverlo è Pietro Mancini, già Sindaco Cosenza in quella che lo stesse definisce come una lezione di storia.

"Lezione numero 1. Storia di Cosenza e dei suoi figli illustri

Gli Occhiuto's hanno indetto una manifestazione, per ricordare Paolo Cappello. Adesso spieghiamo agli organizzatori, che lo ignorano, e ai frequentatori di se stessi, che riempiranno i pullman per partecipare, chi fosse Paolino.
Era un giovane operaio, socialista, cosentino. Trovatello, come si diceva allora, sposato, senza figli, di professione muratore, aveva, inizialmente, aderito al Partito repubblicano per poi passare ai socialisti, convinto da Pietro Mancini, primo deputato socialista della Calabria e nonno dello scrivente, che non è stato neppure invitato dagli Occhiuto's : che stile !
La sera in cui fu ucciso dai fascistoni, Cappello tornava da una riunione del direttivo della sezione "P.Rossi". Militante attivo, arrestato qualche tempo prima e fatto liberare proprio dalla difesa dell'avv.Pietro Mancini, Cappello era amato da tutti i suoi compagni e particolarmente odiato dai fascistoni proprio per questa ragione.
Insieme a Nicola Adamo-un altro muratore socialista (nonno dell'ex assessore regionale del PD), che fu aggredito la stessa sera, proprio nel tentativo di andare a soccorrerlo-erano tra i più attivi nel lavoro di propaganda e pronti ad accorrere al richiamo dei loro compagni aggrediti. Tale circostanza fece pensare che l'agguato di quella sera fosse premeditato e non casuale.
Siamo nel settembre del 1924. Benito Mussolini

siede alla Presidenza del Consiglio, da quasi due anni, ma è tutt'altro che tranquillo. Siamo, infatti, nel pieno della crisi, seguita al feroce delitto del deputato socialista, Giacomo Matteotti, amico di Mancini, assassinato a Roma, dopo la sua vibrante protesta, in un memorabile discorso alla Camera, il 30 maggio.

Matteotti aveva denunciato le violenze e le intimidazioni, che avevano caratterizzato la campagna elettorale per le elezioni del 6 aprile, chiedendone l'invalidazione.
Le chiare responsabilità nel delitto del gruppo dirigente più ristretto del fascismo, e dello stesso, spietato ispiratore, Mussolini, avevano scatenato una ondata di indignazione nell'opinione pubblica e la vibrata protesta delle opposizioni, che decisero di ritirarsi dal Parlamento. Essi salirono sull'Aventino, per segnare l'illegittimità di una maggioranza e di un governo, colpevoli di tale atto, nella speranza di un intervento del re Vittorio Emanuele III, che non avvenne, aprendo la strada all'instaurazione della dittatura e alla messa fuori legge di tutte le opposizioni.
In quel clima rovente, lo squadrismo aveva ripreso vigore in tutto il Paese.
A Cosenza, dove i socialisti e i comunisti avevano eletto per la prima volta i loro deputati (Pietro Mancini e Fausto Gullo, la cui elezione fu però annullata dalla giunta per le elezioni e i resti assegnati, in maniera del tutto arbitraria, al popolare Nicola Siles), aggressioni ed intimidazioni si succedevano, in un crescendo sempre più drammatico e violento.
In città, era attiva una squadraccia di camicie nere, "La Disperata", comandata da Nicola Zupi, che si era resa protagonista di numerose azioni contro esponenti ed organizzazioni della sinistra. L'anno prima, era stata bruciata la Camera del Lavoro in Largo Vergini, dove abitavano l'on Mancini e la sua famiglia.
Tra la primavera e l'estate del 1924, si erano succedute numerose aggressioni ad esponenti socialisti, comunisti e repubblicani, nei pressi del rione Massa, il cuore "rosso" e operaio della città. Persino una festa popolare in piazza del Carmine (l'odierna Piazza Matteotti) e un concerto musicale a Donnici erano stati l'occasione di scontri, agguati e bastonature.
"La Parola Socialista", fondata da Mancini, all'epoca era stampata con una tiratura di 3000 copie. Ma era stata sequestrata da due militi fascistoni e bruciata, pubblicamente, in Piazza Prefettura. Il tutto avveniva, secondo un copione comune in tutta Italia, con la sostanziale connivenza delle autorità di PS, che spesso arrestavano le vittime e non gli aggressori, con il pretesto della "provocazione sovversiva".
La sera del 14 settembre, una domenica, la squadraccia fascista, diretta ancora una volta verso la Massa, venne intercettava all'altezza delle scalinate, che danno sul Ponte di San Francesco (via Sertorio Quattromani), da un gruppo di operai, ben noti ai militi neri come attivisti di sinistra, che furono colpiti da numerosi colpi di rivoltella.
Riporto, da questo punto in poi, l'articolo de "La Parola Socialista", dovuto alla penna di Pietro Mancini: "Gli aggrediti retrocedettero, mentre qualcuno degli aggressori girava pel vicolo dei Casciari allo scopo, evidentemente, di imbottigliare gli operai.
Nel contempo, un nostro compagno-Paolino Cappello – solo ed inerme anche lui, ritornava a casa. Quando fu nei pressi del ponte di San Francesco, fu fatto segno di vari colpi di rivoltella. Colpito gravemente, potè reggersi in piede fino alla Piazza Grande, ove cadde svenuto. Un altro socialista, Nicola Adamo, ch'era uscito da casa, appena saputo il fatto, nel quale un suo compagno era rimasto ferito gravemente, avvistato dai fascistoni, nei pressi della Piazza Piccola, venne raggiunto e bastonato a sangue. Per tutta la notte di domenica, la città fu scorsa da un capo all'altro dalla banda vittoriosa e si procedette all'arresto di alcuni...operai".
Il giorno dopo, nonostante un maldestro tentativo di alibi, Nicola Zupi venne arrestato. I due operai socialisti, ricoverati in ospedale, venivano piantonati per evitare nuove aggressioni.
Le condizioni di Paolo Cappello apparvero subito gravi. Morì alcuni giorni dopo, per le conseguenze delle ferite riportate, chiedendo di avere all'occhiello della giacca un garofano rosso. Nicola Adamo se la cavò, non senza dolorosi strascichi, con una lunga degenza in ospedale.
I funerali furono imponenti, tutta la classe operaia di Cosenza vi partecipò, con alla testa l'intero gruppo dirigente socialista, comunista e repubblicano.
Il clima in città restò incandescente e lo squadrismo più attivo che mai: scritte "Viva Zupi ! " fecero la loro comparsa sui muri.
Il processo sull'assassinio di Paolo Cappello si tenne a Castrovillari perché Cosenza venne considerata una piazza "ostile". Cito ancora le parole di Pietro Mancini, difensore di "parte civile", come si direbbe oggi, insieme a Fausto Gullo, in quel processo: "rammento il processo e la istruttoria difficoltosa, nella quale tanti galantuomini calpestarono, per viltà, la propria coscienza. (... ).
Ho nelle orecchie le invettive volgari, con le quali 'gli eroi' dalla gabbia salutavano l'apparire nell'aula mio e di Fausto Gullo. (...). Vedo l'aula, gremita di fascistoni, urlanti e indisturbati, il pubblico ministero, venuto da Catanzaro, fraternizzare con i difensori, il Presidente, Graziani, scandalizzato e impotente, i giurati premuti ed insidiati. E poi il verdetto scandaloso e l'apoteosi degli assassini per le vie di Castrovillari !".
Un processo-farsa, quindi, con Mancini e Gullo costretti a rifugiarsi in una casa di amici per evitare le rappresaglie degli imputati liberati e dei loro scherani.
Dopo la guerra, e con il ritorno della democrazia, gli imputati del processo rinunziarono alla pregiudiziale di innocenza, per poter usufruire della amnistia di Palmiro Togliatti. E presto tornarono liberi...
Quando vado al cimitero, per sostare davanti alle tombe dei miei cari, non dimentico, mai, di collocare un garofano rosso sulla tomba di Paolino Cappello, martire antifascista, che riposa vicino al suo caro compagno di fede e dirigente politico, on. Pietro Mancini".