Il carcere di Cosenza in mano alla 'ndrangheta: boss impartivano ordini da dietro le sbarre e facevano entrare di tutto

Sbarre prigione"Elementi di spicco delle cosche cosentine erano ristretti in celle che affacciavano sulla strada in modo da consentirgli di impartire ordini all'esterno attraverso persone appostate sotto il carcere". Lo ha riferito il comandante provinciale di Cosenza dei carabinieri, colonnello, Piero Sutera, nel corso della conferenza stampa sull'arresto di due agenti della polizia penitenziaria accusati di concorso esterno in associazione mafiosa. Ma i casi singolari, nell'inchiesta condotta dalla Dda di Catanzaro, non si fermano qui. "Nel carcere di Cosenza - ha aggiunto Sutera - poteva entrare di tutto, dalle droghe che venivano lanciate dentro palline da tennis all'interno del campo di calcio, all'alcol e persino farmaci. In una occasione, un detenuto, che doveva sottoporsi a perizia fonica, ha ricevuto un farmaco per consentirgli di alterare il timbro vocale. Abbiamo registrato anche il caso di un imprenditore sotto usura 'convocato' sotto la finestra di un detenuto per imporgli di restituire la somma di 100 mila euro che gli era stata prestata". Il capitano Giuseppe Sacco, comandante del Nucleo investigativo di Cosenza dei carabinieri, ha riferito che "in alcuni casi gli agenti che lavoravano onestamente e facevano il loro dovere all'interno del carcere sono state vittime di vere e proprie rappresaglie".

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Nell'ambito dell'inchiesta gli assistenti capo Luigi Frassanito, di 56 anni, e Giovanni Porco, di 53 anni, agenti di polizia penitenziaria del carcere di Cosenza, sono stati arrestati dai carabinieri con l'accusa di aver favorito cosche di 'ndrangheta all'interno della casa circondariale cosentina.