Reggina: dall'Olimpico al D'Ippolito, il passo è breve...

vigorscoppoladi Paolo Ficara - Se prima sembrava di vivere in un sogno, adesso vorremmo essere svegliati da quest'incubo. Abbiamo visto la Reggina piegare la Roma (sia in casa che fuori), la Juventus, il Milan, l'Inter e la Lazio. Poi le sconfitte in cadetteria contro il Gallipoli, l'AlbinoLeffe ed il Lanciano. Che toccasse soffrire anche sui campi della Serie C ce lo aspettavamo, ma perdere 4-0 a Lamezia, di fronte ai circa 2000 spettatori del gremito stadio 'D'Ippolito', è un qualcosa che va oltre l'umiliazione.

Il rischio di ripetere le nefandezze della stagione precedente, e di retrocedere nonostante la presenza di elementi tecnicamente validi in organico, è davanti agli occhi e non accorgersene sarebbe il primo degli errori. Non è il 4-0. Non è la sconfitta, su un campo in cui mai avremmo immaginato di poter vedere una Reggina in balia dell'avversario. Ma se qualche giorno fa ci eravamo stancati di sentir dire che si gioca bene e si perde, era proprio perché temevamo di assistere ad una Reggina che gioca male. Anzi, non gioca proprio.

È sufficiente una scoppola per fare fagotto di tutto quel che di discretuccio si è espresso finora, sul campo? Sostenere che fino a questo momento si era giocato male solo contro il Lecce (ed anche a Matera, aggiungiamo), di colpo non varrà più? Senza voler rimarcare gli ultimi episodi negativi (forse è meglio non rielencarli affatto), ci si ricorderà che si viene da un'estate tribolata, tra iscrizione al fotofinish, preparazione iniziata tardi ed eseguita a livello del mare, e campagna acquisti fatta da prestiti e svincolati?

Cozza ha sbagliato formazione a Lamezia. Togliere fiducia anche a Camilleri, significa andare settimanalmente alla ricerca di un colpevole, tra i giocatori. Il tecnico stava insistendo sullo stesso schieramento negli ultimi tempi, pur sapendo che nel reparto arretrato è sempre costretto ad adattare qualcuno. Vedi Ungaro, che paradossalmente riesce a mostrare qualcosa di discreto quando spinge, ma essendo un centrale di ruolo incontra difficoltà sulla fascia, contro avversari dal passo rapido. Ma è il quinto uomo messo in quel ruolo (dopo Aquino, Maimone, Di Lorenzo e per una mezz'oretta anche Ammirati); bisognava e bisogna insistere ancora, altrimenti si corre il rischio di bruciare tutti i difensori. In serie, uno dopo l'altro. E gennaio è lontano.

Prendere in mano la frusta, dopo una prestazione così scioccante, è la cosa più facile del mondo. I toni da rimprovero non fanno più effetto (positivo) da anni. Adesso serve lucidità per ripartire, cercando di far riaffiorare gli aspetti positivi visti (dall'interno) nelle passate settimane. Sempre se ci si credeva davvero, sulla bontà del lavoro che si stava portando avanti. Quest'anno c'è da gestire uno spogliatoio costituito principalmente da 20enni, molti dei quali cresciuti al Sant'Agata. Non ci sono giocatori convinti di dover essere titolari nel Milan o nel Chievo.

Ieri era Dionigi, oggi è Cozza, domani toccherà a qualcun altro. Bisogna prendere posizione coscienziosamente e senza invadenza, riconoscere che qualche limite strutturale c'è, e permettere agli altri le stesse possibilità di errore che si concedono a sé stessi. Fermo restando che Cozza deve rimediare alla svelta: i freddi numeri recitano cinque sconfitte su dieci partite, di cui quattro consecutive in trasferta ed in totale assenza di reazioni dopo i gol subiti. Adesso abbiamo capito che giocare male non è la cura: ma è chiaro che la malattia può condurre in Serie D?