Reggina: al via una stagione da figli di padre ignoto

praticostoriadi Paolo Ficara - Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto. La sfida di Coppa Italia con la Vibonese, ormai ufficializzata con tanto di orario e relativo sospiro di sollievo circa la figuraccia evitata su un ipotetico rinvio, aprirà la stagione agonistica della Urbs Reggina 1914. In situazioni normali, a poco più di due settimane dal termine del mercato, staremmo qui a stimolare chi di competenza. Il Catania è prossimo al ripescaggio in B, non si presentano grosse corazzate nel girone meridionale in C, e col Bari che potrebbe riaffiorare fra un anno, andrebbe battuto il ferro fin quando è caldo.

Ossia, si dovrebbero mettere in campo tutte le energie possibili, pur di andare in B a godersi un meritato pareggio di bilancio. Anziché proporre uno stuolo di under 25, più Conson, Maritato, Sciamanna, Viola ed un Mezavilla che resta anche stavolta per il rotto della cuffia.

Invece dovrete scusarci se non saremo asfissianti come nostro costume. Come lo siamo stati in passato. Nel mettere la giusta pressione, svolgendo il nostro dovere, ad un'entità che per 104 anni (teoricamente andrebbe sottratta l'annata delle giovanili) ha rappresentato uno svago per alcuni, un simbolo per tanti, un motivo d'orgoglio in determinate fasi sociali, un parente stretto per un non quantificabile numero di persone.

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Nella prossima stagione sportiva, non sarà la stessa cosa. E non importa se il pensiero appartiene solo a chi scrive sul Dispaccio. La validità (nonché la genuinità) di un pensiero non si misura con l'applausometro. Spesso la maggioranza si rifiuta di prendere coscienza, non sappiamo se sia questo il caso. Quest'anno, in Serie C figurerà la società che per due anni, e di questo gliene va reso merito (anche se da un certo punto in poi, non ha saldato), ha affittato l'eredità di chi, a sua volta, nel 1986 si era indiscutibilmente presentato come prosecuzione della A.S. Reggina, avendone mantenuto matricola, parco giocatori e categoria. Ma adesso, questa eredità l'ha mollata. Volutamente. Non regge la scusante dell'affitto: c'è stato un bando per la vendita definitiva, andato deserto.

Sull'argomento marchio (che poi riguarda anche il palmares, cosa non di poco conto), in una recente dichiarazione ai microfoni di Reggio Tv, il presidente della Urbs ha glissato dicendo che c'è chi guarda il dito e chi la luna. Cosa guardi lui, tra dito e luna, non abbiamo dubbi. Meglio se si fosse guardato allo specchio all'atto di indossare una maglietta con una scritta inneggiante alla storia, due anni e mezzo fa circa, quando bisognava accattivarsi tifoseria e istituzioni per mollare tutti insieme l'ultimo calcio nel sedere alla Reggina Calcio.

Oggi come allora, il Dispaccio è quel pescatore disperso nella buia notte in mezzo al mare. L'unico modo per regolarsi, per ritrovare la via di casa, è seguire la stella polare. Non gli uomini. Non sappiamo dove ci porteranno, gli uomini. Perché a volte, nemmeno loro sanno dove si stanno dirigendo. La stella polare rimane sempre la Reggina. Non intesa come marchio, matricola, ma neanche come nome se vogliamo dirla tutta. Intesa come riferimento, come condizione imprescindibile, come lume destinato a rimanere sempre acceso.

Chi ha deciso di andare appresso agli uomini, si è rivelato nel corso dell'ultimo mese e mezzo. Non appena ci siamo permessi di evidenziare l'errore sesquipedale della rinuncia al marchio, hanno alzato la voce i fratellini. Che adesso, col timore che ci si accorga del patatrac grazie agli editoriali di chi, per fortuna, a livello nazionale gode di un pizzico di stima in più rispetto a qualcuno che può fare l'opinion leader solo a piazza Carmine, mettono nel mezzo i fratelloni. Come se il problema d'identità fosse colpa di chi scrive, e non di chi l'ha creato. Permettendosi di offendere, di inalberarsi, il tutto senza argomentare le loro ragioni.

Che fine ha fatto l'indignazione di qualche mese fa, quando il proprietario della Urbs affermava che la Serie A era frutto di combinazioni? Possibile che la chiusura della gradinata sia stata considerata, un anno addietro, un'offesa alla storia, mentre la perdita del certificato di battesimo è la cavolata di un destabilizzatore? Non serve più il pretesto per andare contro? Basta l'assunzione dei fratelloni per cambiare opinione? Dobbiamo pensare che se il cancello (del Sant'Agata) è chiuso, pietrate, mentre se il cancello (non sappiamo di quale altro campo, ormai) è aperto, leccate?

E soprattutto, quali dichiarazioni ci si aspetta dai dirigenti della Urbs? Dovrebbero ammettere che, per parafrasare Savoldi, forse questa Reggina non è più l'originale? E poi chi ci andrebbe allo stadio?

Qua si sta cambiando, ma in peggio. Le risorse, che l'anno scorso erano poche, sono diventate pochissime. Tra chi si prendeva questioni in tribuna stampa per difendere la professionalità di Maurizi, e chi oggi si incaponisce senza argomentare pur di spalleggiare i fratelloni, non notiamo differenze sostanziali. E se prima c'era poco rispetto verso la storia, adesso si è passati al vilipendio più assoluto.

C'è un anno di tempo per risolvere tante criticità. L'identità va possibilmente riunita al titolo sportivo più alto presente in città. E soprattutto, va trovato un presidente che blocchi questa trionfale discesa verso il peggio. Sarebbe anche ora che Antonio Girella scegliesse un indirizzo per valorizzare i beni immateriali per cui ha pagato un affitto annuale: al di là degli accordi con la curatela, serve rispetto per chi, a quei beni, continua a tenerci un po'. Per quest'anno, scrivendo la parola Reggina ed intendendola in senso lato, c'è il corpo in Serie C ma il cuore chissà dove. È un po' come se fossimo tutti figli di padre ignoto. Magari, alla maggioranza va bene così. Ma non a chiunque, fatevene una ragione.