'Ndrangheta, trent'anni fa l'omicidio del Procuratore Caccia; i figli: "Vogliamo la verità"

cacciabruno"Fare emergere finalmente la verità". Lo chiedono i figli del Procuratore Bruno Caccia, Guido Paolo e Cristina, in una memoria consegnata alla Commissione consiliare speciale per la promozione della cultura della legalità e del contrasto dei fenomeni mafiosi del Comune di Torino, che oggi ha manifestato la volontà di celebrare in Sala Rossa la figura del magistrato piemontese, nel trentennale dell'assassinio.

Il Procuratore capo di Torino, Bruno Caccia, freddato sotto casa la sera del 26 giugno 1983 da dei sicari, ed il suo omicidio è stato archiviato come una questione privata tra lo stesso il boss della 'ndrangheta Domenico Belfiore.
Negli anni però molti i dubbi che si sono addensati, con nuovi contorni che potrebbero nascondere altre verità.

Uno scenario più complesso, talvolta ipotizzato, in cui si muoverebbero intrighi tra boss, figure istituzionali e servizi segreti. Fino a interessare personaggi coinvolti nella trattativa Stato-mafia.

"A 30 anni dalla morte di nostro padre - ha detto Cristina Caccia - siamo profondamente grati a tutti coloro che vorranno ricordarlo. Non possiamo però tacere - ha sottolineato - il disagio per qualcosa che non ci pare ancora del tutto chiarito. Le recenti cronache del processo Minotauro avallano in qualche modo i nostri dubbi, mettendo in luce un percorso della malavita organizzata che dai fatti di oggi si può far risalire fino ad allora. In quest'ottica - ha concluso la figlia del magistrato - la sentenza definitiva ci pare una verità parziale. Ci piacerebbe perciò che la ricorrenza di quest'anno diventasse occasione per uno sforzo corale teso ad avvicinarsi di più alla Verità, partendo dal presupposto che l'omicidio di nostro padre non fu un fatto isolato nella storia cittadina".