"Dopo sette anni dalla fine del commissariamento, la gestione dei rifiuti in Calabria è ripiombata ad un livello emergenziale. Allo stato attuale la raccolta differenziata è diffusa nella quasi totalità dei comuni calabresi; ciò che invece non è ancora adeguato è la percentuale di rifiuti differenziati, ferma alla media del 45%. A questo si aggiunge la carenza di strutture pubbliche per il trattamento dei rifiuti differenziati e la scelta assurda di continuare a mantenere in vita il processo di incenerimento - vedi il malandato impianto di Gioia Tauro - e il proposito, ancora solo sulla carta2, di smaltire l'organico in centri di digestione anaerobica. In questi giorni la governatrice Santelli ha autorizzato in via emergenziale l'apertura della discarica di San Giovanni in Fiore, pur essendo priva dell'autorizzazione ambientale, a suo dire per via dell'epidemia di Covid193. Il problema è complesso ed occorre fissare alcuni punti cardine. In primis, ricordiamo che le buone pratiche proposte dalla Legge nazionale di iniziativa popolare "Rifiuti Zero" avrebbero potuto contribuire a migliorare la situazione, ma la legge non è mai stata dibattuta e i principi suggeriti hanno avuto scarsa applicazione. Mancano incentivi alla riduzione a monte dei rifiuti e al corretto conferimento. Vengono invece tenuti in vita sistemi di smaltimento come il conferimento in discarica e l'incenerimento, i quali continuano a sottrarre risorse pubbliche, senza risolvere il problema, ma implementando le problematiche ambientali.
Un'ulteriore beffa è costituita dagli incentivi di cui godono gli inceneritori essendo assimilati a fonti di energia rinnovabili. Anche l'uso di impianti di compostaggio anaerobici è improntato al perseguimento del profitto proveniente principalmente dallo sfruttamento del biogas. Ciò che resta dall'estrazione del biogas è costituito in parte da un compost di bassa qualità, e da un'altra consistente frazione che deve essere in ogni caso smaltita in discarica.4
Azione virtuosa sarebbe invece la riduzione dei rifiuti all'origine, eliminando tutto ciò che non può essere compostato e che, inutilizzabile, è in grado di generare inquinamento ambientale. Tutti questi processi di smaltimento sono a gestione privata; va da sé che gli oneri di funzionamento non derivano dai soli costi di impianto e di funzionamento, ma devono coprire il capitale investito più l'utile d'azienda, e ciò implica che la spesa generale per lo smaltimento rappresenta solo un costo. Al contrario, una gestione integrata pubblica e partecipata dei rifiuti, mirata al recupero e al riciclo più che allo smaltimento, avrebbe degli innegabili benefici per le casse comunali e per le tasche dei cittadini, oltre che per l'ambiente. La possibilità di piccoli comuni di consorziarsi, offrirebbe innegabili vantaggi derivanti dalla vendita dei materiali da riciclo, una gestione che potrebbe comportare la partecipazione di comitati e associazioni di categoria in una gestione realmente partecipata. Da questo punto di vista, il trasferimento della gestione dei rifiuti a livello di ATO, quindi in realtà su scala "provinciale", coinvolge sicuramente un ambito geografico che rende la partecipazione più semplice5. Ciononostante il problema della partecipazione è frenato dal modello di gestione privatistico, il quale rende molto più difficile sia la partecipazione che la trasparenza. Ricordiamo quanto chiesto nel 2013 con la proposta di Legge "Rifiuti zero", nella quale si chiariva il principio di tariffazione puntuale in funzione della quantità dei rifiuti prodotti, che potrebbe spingere la cittadinanza a ridurre la produzione domestica di rifiuti. Anche se occorre ricordare che non è solamente l'abitudine della collettività a ridurre la produzione di rifiuti, questo è solo una parte del problema, vi sono tutti gli imballaggi industriali che costituiscono un volume considerevole di scarti spesso difficilmente riciclabili o riutilizzabili.
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"Una riforma che è possibile se l'intervento non è solo normativo ma anche attuativo; la cui efficacia si misura sul tipo di gestione, che punta al totale reinvestimento degli utili nel miglioramento del servizio, una gestione che solo una azienda pubblica può garantire. Un sistema di gestione dei rifiuti, basato sul riciclo più che sullo smaltimento tra inceneritori e discariche, è sì più costoso, in quanto impiega più personale, ma "paradossalmente" presenta una tariffa più leggera per il cittadino, grazie al recupero di materie prime e grazie all'assenza del profitto per chi gestisce. Riciclo, recupero, riuso e compostaggio non producono inquinamento, ma risparmio di materie prime, minori spese di produzione e compost di buona qualità, fondamentale per un'agricoltura sostenibile. E' evidente che questo è un sistema che genera vantaggi economici diffusi, mentre il sistema grandi discariche e inceneritori presenta guadagni esclusivamente per chi li gestisce. Quanto alla dimensione ristretta degli ambiti di gestione, evidenziamo che questi riducono gli spostamenti di conferimento riducendo spese, inquinamento e rischi. Anche gli impianti sono più contenuti e quindi meno impattanti sulle comunità. Naturalmente impianti più piccoli implicano per il gestore profitti ancora più bassi e questo rende il modello pubblico il solo possibile.
Concludiamo con una riflessione sul fatto che in questa fase di pandemia non è possibile utilizzare la via della pressione popolare per il divieto di realizzare assembramenti. Sicuramente però questo periodo può dare modo per trovare il tempo di fare un'analisi puntuale e collettiva, un punto di partenza per pretendere, appena finita questa emergenza, un sistema di gestione più fruttuoso e sostenibile, sia in termini economico-solidali che in termini ecologici".
E' quanto si legge in una nota stampa CSOA Cartella.