Il pentito Marando racconta a Torino i segreti della 'ndrangheta

torino aulabunkerdi Giuseppe Incognito - Appare in video da una località segreta quando a Torino sono le 9.30. "Sono Rocco Marando, nato a Plati il 9 settembre del 1969. Sono settimo di 11 fratelli, 8 maschi, tre femmine. Mio padre è stato ucciso, i miei fratelli Francesco e Pasquale anche. Alfredo è morto in un incidente stradale. Domenico e Rosario sono detenuti, Nicola è l'unico che non credo faccia parte delle società. Sono stato affiliato nel 1989 a Volpiano nel giardino della casa di Francesco Costanzo. Mi hanno chiesto cosa andavo cercando, ho risposto: onore e sangue e sono entrato nella famiglia. Due mesi dopo ho sposato Caterina Perre anche lei originaria di una famiglia di 'ndrangheta".

Eccolo qui il secondo pentito-chiave del maxi processo Minotauro che va in scena da tre mesi ormai nell'aula bunker del carcere delle Vallette a Torino. Marando, che da qualche mese non è più imputato nel procedimento, avendo patteggiato una condanna di poco superiore a un anno di reclusione, parla sette ore. Inizia dall'omicidio di Antonio e Antonino Stefanelli (1997) e chiama in causa suo fratello Domenico "E' lui che ha portato i corpi in frazione Vauda a Lombardore dopo averli uccisi", svela un retroscena sconosciuto finora sul sequestro di Cesare Casella. "La nostra famiglia (Marando) ha partecipato. Qualche giorno prima del rapimento, quattro persone di San Luca sono venute a Volpiano" ha raccontato il pentito. Aggiungendo che "ci hanno chiesto dei mobili per riempire il vano del camion, all'interno bisognava creare uno spazio per tenere il sequestrato. Noi abbiamo contribuito in questo senso e poi loro sono partiti verso Pavia e se lo sono portato in Aspromonte. Ma anche i Trimboli e i Sergi e i Papalia, tutti abbiamo partecipato".

Rocco Marando non ha la velocità di Rocco Varacalli il pentito che lo ha preceduto nelle scorse udienze. Se è per questo nemmeno la precisione nei ricordi, spesso sfuocati soprattutto sui riconoscimenti fotografici. Ciò non gli impedisce di  ripercorrere i fatti di sangue che hanno segnato drammaticamente la storia della famiglia di cui fa parte: "Mio padre fu ucciso sotto casa a colpi di pistola". Era il 1980: "Sono stati affiliati della famiglia Musitano ad ammazzarlo" (chiaramente le dichiarazioni di Marando non corrispondono a una chiamata in correità per alcuno). Poi passa in rassegna l'uccisione del fratello Francesco trovato cadavere (1995) nei boschi di Chianocco, in val di Susa e riconsciuto grazie alle incisioni della fede nuziale: "L'hanno ammazzato gli Stefanelli (locale di Varazze, Savona) e noi ci siamo vendicati (uccidendo Antonio e Antonino Stefanelli nel 1997 a Lombardore, delitto per il quale Domenico Marando sta scontando l'ergastolo)". Infine squarcia il velo sulla sorte del fratello Pasquale, narcotrafficante di fama mondiale, leader indiscusso della famiglia, scomparso, desaparecido dal 2001 e ora ufficialmente morto. "E' stato ucciso dai suoi cognati (Trimboli), i fratelli della moglie.  Un giorno mio  fratello Rosario ha telefonato a me e Nicola per chiederci di andare subito da lui a Gioiosa. Quando siamo arrivati era seduto a casa di Giuseppe Aquino. Lì ci ha dato la notizia: Pasquale è stato ammazzato". Il corpo del boss non è mai stato trovato: "Ce l'hanno i Trimboli, nelle loro campagne. Noi glielo abbiamo chiesto: ridateci nostro fratello. Sa cosa ci hanno risposto? Lo avrete quando voi ci restituirete quello dei nostri fratelli". (Pasquale Marando fu sospettato di avere un ruolo nella scomparsa a cavallo degli anni '90 di due componenti della famiglia Trimboli).

Il tesoro di Pasquale – "miliardi di lire" – accumulato col traffico internazionale di droga, sarebbe finito poi nelle mani degli Aquino "c'è tanta gente giù che sta vivendo coi soldi di mio fratello".  A proposito di soldi, Marando tira in ballo, per presunti episodi di corruzione, anche giudici e avvocati. Dichiarazioni che lasciano l'aula impietrita. Con una famiglia falcidiata dagli omicidi e dal carcere, senza godere nemmeno dell'eredità milionaria del carismatico Pasquale e con "una voglia di essere padrone della mia vita non essendolo mai stato fino al giorno della mia collaborazione" Rocco sceglie la via del pentimento: "Se non lo avessi fatto, mio figlio - prima o poi - sarebbe entrato nella 'ndrangheta e lo avrebbero ucciso".
I fratello Rosario lo ascolta per ore nelle gabbie degli imputati. Si passa spesso le mani tra i capelli, chiede la parola. La Corte non gliela concede. "Rosario – dice Rocco - è quello che mi ha fatto arrabbiare più di tutti. Dopo la morte di Pasquale si è spartito i soldi con i Trimboli, proprio coloro che l'avevano ucciso. Ha anche provato a farmi ritrattare. Quando sono stato arrestato nel maggio 2011 mi ha mandato i saluti attraverso il cappellano del carcere delle Vallette don Piero  e - sempre attraverso lui - mi ha consigliato di cambiare avvocato. Ho rifiutato". A quel punto Rosario chiede ancora di intervenire. Gli danno la parola: "Mio fratello non sta bene, è ammalato, ha problemi con l'alcool. Lo sanno tutti dottor Sparagna (il pm che sostiene l'accusa nel processo). E' lui che mi ha cercato attraverso il prete chiedendomi soldi per ritrattare. Fino a qualche giorno fa ha telefonato alla mia famiglia, a mia moglie per dirgli che voleva 50 mila euro. Io gli ho offerto di tornare a casa, ma non gli ho mai chiesto di cambiare versione. La verità – ha concluso Rosario Marando – verrà fuori e non mi toccherà". Rocco non può sentire, i microfoni sono stati spenti per non condizionarlo.

La saga familiare si chiude qui.