Omicidio giudice Caccia, D'Onofrio: "Stupito da accusa"

caccia bruno500"Sono stupito da questa accusa". Francesco D'Onofrio, 62 anni, l'ex militante di Prima Linea indagato dalla procura di Milano per l'omicidio del procuratore torinese Bruno Caccia, prende le distanze. Parlando per bocca dell'avvocato Roberto Lamacchia, che lo difende sin dai tempi dei processi per i reati di eversione, si dichiara "completamente estraneo a qualsiasi tipo di coinvolgimento nella vicenda". A fare il nome di D'Onofrio, che oggi è libero, è stato Domenico Agresta, un pentito di 'ndrangheta. E' alla criminalità organizzata calabrese, secondo una sentenza diventata ormai definitiva, quella della condanna all'ergastolo del boss Domenico Belfiore, che viene attribuita l'uccisione del magistrato, avvenuta nel 1983. D'Onofrio, che è originario di Vibo Valentia, è indicato dal collaboratore di giustizia come uno dei due esecutori del delitto (l'altro, Rocco Schirripa, è sotto processo a Milano in questi giorni).

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Nell'interrogatorio Agresta non parla di lui come un terrorista, ma lo definisce legato alla 'locale' di Belfiore. Sono anni che D'Onofrio - dissociatosi dalla lotta armata nel 1987 e oggi a piede libero - tenta di allontanare da sé le accuse dell'antimafia torinese. In almeno dieci occasioni, di fronte ai giudici e ai pm, ha spiegato di "dissentire totalmente" dalla mentalità, dai metodi e dagli obiettivi della 'ndrangheta. Contro di lui stanno fioccando le parole di alcuni pentiti. E c'è chi dice che nella scala gerarchica dell' organizzazione è salito parecchio in alto. "Io sono calabrese come loro - è stata la risposta - e ho alle spalle una storia che mi rende un personaggio. Evidentemente parlano di me per darsi importanza". Dichiarazione che non è servita, lo scorso 19 gennaio, ad evitare una condanna a 4 anni e 2 mesi per armi. L'accusa era di custodire dieci kalashnikov. Forse per tenerli a disposizione degli 'ndranghetisti. Ma l'arsenale non è mai stato trovato. La pista del terrorismo fu esplorata e accantonata quasi subito. Le Brigate Rosse, in un comunicato, negarono di avere ucciso Caccia (uno dei brigatisti, leggendo, aggiunse "purtroppo"). L'omicidio di un magistrato noto per la sua intransigenza e la sua grinta contro il crimine porta dunque la firma della 'ndrangheta. L'avvocato della famiglia Caccia, Fabio Repici, che da tempo sottolinea i tanti punti ancora oscuri della vicenda, dice che adesso il processo di Milano contro Schirripa dovrà allargare i propri orizzonti. Da spiegare ci sarà il presunto e insolito doppio ruolo di D'Onofrio, eversore e 'ndranghetista, cercando di capire cosa facesse nel 1983. Agresta ha 28 anni ed è in prigione da quando ne aveva 20. Lo scorso ottobre ha rievocato una conversazione che ebbe nel 2012, quando era detenuto insieme al padre e a un terzo personaggio: il genitore, in calabrese, disse che furono Schirripa e D'Onofrio a "farsi il procuratore". Il suo primo banco di prova in un'aula di giustizia arriverà nei prossimi giorni, quando interverrà in Corte d'appello, a Torino, per testimoniare al processo per un altro omicidio, quello dell'odontotecnico Roberto Romeo, avvenuto nel 1998 in una sanguinosa faida di 'ndrangheta. Per il momento l'avvocato Lamacchia, difensore di D'Onofrio, si limita a dire che il suo assistito, in queste settimane, non ha ricevuto alcuna comunicazione dai pm milanesi.