"Ditegli di dormire con sette cuscini". Le accuse al "ras dei rifiuti" Ciccone, accusato anche di falsa testimonianza

cicconecarmelodi Angela Panzera - Il suo unico obiettivo era non tanto di beccarsi una condanna in carcere, ma era quello di "salvare" la Radi da un'eventuale confisca. Carmelo Ciccone, imprenditore nel settore della raccolta di smaltamento rifiuti nella Piana, deve impedirlo a tutti i costi. Ed ecco che insieme all'imprenditore Saro Azzarà "istigano Saverio Giuseppe Zoccoli a rendere una testimonianza compiacente e finalizzata a ridimensionare il quadro probatorio a carico del Ciccone; Zoccoli accetta tali indicazioni- scrive il gip Karin Catalano nell'ordinanza di custodia cautelare "Ecosistema"- rassicurando i primi due sulla propria disponibilità a testimoniare il falso ed effettivamente rende falsa testimonianza all'udienza del 14 aprile 2015, in particolare affermando di non essersi sentito minacciato dalle frasi rivoltegli dal Ciccone nella conversazione telefonica del del 20 settembre 2010, così rendendo una deposizione falsa e reticente".
Ciccone era finito davanti al Tribunale di Palmi, presieduto da Carlo Indellicati, per la tentata estorsione ai danni proprio di Zoccoli e per un episodio di turbativa d'asta. Nell'ambito dell'inchiesta "Casa nostra", condotta dal pm antimafia Luca Miceli, Ciccone, legale rappresentante della "Ra.Di srl", società che aveva partecipato in avvalimento della S.p.A. "Piana Ambiente" alla gara indetta dal Comune di San Ferdinando per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, avrebbe perpetrato un'estorsione, aggravata dalle modalità mafiose, Zoccoli, amministratore delegato della "Zetaemme", un'altra società impegnata nella gestione dei rifiuti. L'imprenditore infatti, avrebbe ricevuto pressioni per ritirarsi della gara d'appalto per la gestione dei rifiuti urbani del Comune di San Ferdinando. In Tribunale Zoccoli però nega tutti e il Tribunale di Palmi si "beve" la sua versione. La Dda però li stava intercettando e per «opportunità investigative- come ha spiegato oggi il Procuratore capo Cafiero De Raho- non si è potuto arrivare alla discovery delle intercettazioni». Ciccone quindi viene assolto dall'estorsione e condannato "solo" per il reato di turbata libertà degli incanti a un anno di carcere, pena sospesa, e 600 euro di multa. Gli è andata di lusso insomma anche se il Collegio alla fine confisca la sua amata "Radi srl". Adesso per il "ras" dei rifiuti della piana arrivano nuovi guai. Secondo l'inchiesta della Dda, oltre alla falsa testimonianza in concorso con Zoccoli e Azzarà, Ciccone è stato arrestato poiché accusato di illecita concorrenza, aggravata d'aver agevolato la ''ndrangheta. Per l'Antimafia Ciccone e Azzarà, avrebbero posto in essere "atti di illecita concorrenza sleale volti al controllo o comunque al condizionamento della aggiudicazione e della esecuzione dei più rilevanti e remunerativi appalti pubblici banditi nel territorio provinciale e regionale nel settore della raccolta, trasporto, recupero, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e di quelli speciali, anche di natura pericolosa, allo spazzamento delle vie, delle aree e degli edifici pubblici, alla pulizia delle caditoie stradali, alla derattizzazione, alla disinfestazione e disinfezione, nonché alla pulizia delle spiagge; in particolare, stringevano un accordo collusivo mirante, anche attraverso la fraudolenta predisposizione di offerte e la turbativa dei pubblici incanti e-o attraverso rapporti di sub-appalto (lecito o illecito) dei lavori, nonché attraverso condotte di tipo estorsivo, alla imposizione esterna della scelta delle ditte destinate ad aggiudicarsi gli appalti o comunque ad eseguire di fatto i lavori e servizi sopra menzionati sulla base di una logica spartitoria dettata dagli equilibri mafiosi esistenti nel territorio provinciale e regionale; attività illecita resa possibile dall'intervento intimidatorio e dallo spessore mafioso, dello stesso Azzarà, anche in considerazione dei suoi rapporti con la criminalità organizzata calabrese, e dagli appoggi goduti, da parte di tali soggetti, presso le pubbliche amministrazioni interessate». Il quadro che ne esce fuori è devastante.
Ma andiamo con ordine. L' episodio della falsa testimonianza a Palmi sarebbe un chiaro esempio del modus operandi dei due. Per il gip Catalano non ci sono dubbi ed è per questo che anche Zoccoli è finito nei guai e per lui sono stati disposti gli arresti domiciliari. " Zoccoli- scrive il gip nelle carte dell'inchiesta- è il protagonista della falsa testimonianza, ordita a tavolino dai compari Azzarà e Ciccone, coi quali non ha esitato a scendere a patti, benché da quest'ultimo gravemente danneggiato e minacciato di morte, per il proprio tornaconto personale ed imprenditoriale, finendo con l'incidere pesantemente sull'esito del processo penale a suo carico". Azzarà avrebbe fornito un "supporto" al punto tale che si è fatto " consegnare l'incartamento processuale adoperandosi per elaborare una efficace strategia difensiva. E parimenti l'evidente preoccupazione con cui Azzarà e Ciccone- chiosa il gip-si riconoscevano negli «amici miei» davanti ai quali lo Zoccoli dichiarava – nel contesto dell'intercettazione oggetto del procedimento – di non volere fare brutta figura, allorquando disponeva che il consulente tecnico Nicola Rotundo ritirasse l'avvalimento offerto alla Evergreen nella gara di San Ferdinando («mi devo ritirare faccio brutta figura con gli amici miei»: queste le parole intercettate). "In quest'ottica maturava la decisione di citare Zoccoli Giuseppe come testimone della difesa Ciccone, affinché fornisse una versione dei fatti concertata e più favorevole all'imputato, in altri termini falsa: Azzarà e Ciccone si adoperavano affinché lo Zoccoli ricevesse e ritirasse regolarmente l'avviso di citazione presso l'indirizzo di residenza, quindi si assicuravano che si presentasse all'udienza, inviandogli vari avvertimenti ed imbasciate con terze persone". Sarebbe stato Ciccone a chiedere ad Azzarà di avvicinare sia Zoccoli che Rotundo "raccogliere informazioni sul contenuto della deposizione che gli stessi avrebbero reso, in vista delle adeguate contromisure da predisporre. In effetti Azzarà prendeva contatti prima con Zoccoli, con la famiglia del quale vantava un rapporto speciale in virtù delle importanti elargizioni economiche effettuate, che mandava a dire al Ciccone, suo tramite, di stare tranquillo (per marzo ditegli di stare tranquillo, queste le parole dell'imprenditore); quindi con Rotundo, a casa del quale, a Lamezia Terme, si recavano il 28 marzo del 2015 Azzarà, Ciccone Carmelo Gabriele Familiari". L'intercettazione captata dai Carabinieri non lascia spazio all'immaginazione.
Zoccoli Giuseppe: «tu basta solo uno squillo...inc...messaggio che devo passare di qua e poi mi dite dove devo andare...se deve dirmi qualche cosa in particolare...per Marzo ditegli di stare tranquillo Carmelo, con sette cuscini».
Detto fatto. Zoccoli arriva in Tribunale e quelle che prima era minacce, adesso diventano semplici "rimproveri". Farfuglia, quando il, pm Miceli lo incalza, ma niente da fare: lui non ha mai subito nessuna estorsione. Peccato che l'Antimafia lo stava monitorando e sapeva benissimo che stava mentendo spudoratamente.

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"L'elemento che Zoccoli ha inteso negare- scrive il gip Catalano- nel corso della testimonianza concordata con Azzarà e Ciccone – l'intimidazione mafiosa rivoltagli dal Ciccone affinché ritirasse l'avvalimento alla ditta concorrente, che aveva costituito un vero affronto per i suoi amici: «io non sapevo che San Ferdinando è in lavori dove stanno lavorando amici mie.. ma tu in fin dei conti con quanti cazzi di mazzi di carte giochi? A me mi fai l'amico.. a me .. io ti rispetto e tutto.. e vai e gli fai l'avvalimento nel paese dove sai che sto lavorando io» e la percezione che di essa aveva avuto il dichiarante – emerge dalla lettura piana del dialogo nel quale Zoccoli senza mezzi termini ordinava con toni drammatici a Rotundo di ritirare la garanzia offerta, altrimenti «questi qua a me mi bruciano... mi fanno tenere il sedere con due mani».
Quello che Ciccone aveva rivolto a Zoccoli e che quest'ultimo - deponendo il falso all'udienza – ha riferito di avere inteso come un banale rimprovero fraterno, era nelle intenzioni del mittente, e così veniva percepito dal destinatario, nient'altro che un messaggio intimidatorio di chiara matrice mafiosa". Altro che rimprovero: era per gli inquirenti un'estorsione in piena regola. Adesso con ogni probabilità queste risultanze investigative verranno riversate nel processo d'Appello perché l'Antimafia ha fatto appello contro l'assoluzione di Ciccone dall'accusa più grave. Adesso forse Ciccone, non potrà dormire «con sette cuscini».