Il bocconcino Expo: tutti gli affari della ‘ndrangheta a Milano (e non solo)

expomilano500di Claudio Cordova - Le indagini hanno eseguito "accertamenti nei confronti di soggetti legati alla criminalità organizzata calabrese i quali hanno sviluppato interessi economici nel Nord Italia, acquisendo la gestione ed il controllo di una serie di attività economiche fittiziamente intestaste a prestanome compiacenti nonché di autorizzazioni, appalti e sub-appalti, per realizzare vantaggi ingiusti per sé e per altri. Le indagini in particolare, si sono concentrate su una società, la Infrasit spa, poiché è quella maggiormente utilizzata dagli indagati nel periodo di esecuzione di indagini e poiché le investigazioni hanno evidenziato che la società è amministrata da un prestanome ma, di fatto, totalmente gestita da soggetti riconducibili alla criminalità organizzata calabrese e segnatamente alle cosche Aquino-Coluccio di Marina di Gioiosa Jonica e aree limitrofe e le cosca Piromalli-Bellocco, operativa a Rosarno".

È il Gruppo Locri della Guardia di Finanza, allora retta dal tenente colonnello William Vinci, a scrivere così nelle carte dell'inchiesta che oggi hanno portato all'esecuzione dell'operazione "Rent". Al momento risultano essere 32 le persone denunciate dagli investigatori ma su un soggetto vige ancora il massimo riserbo. Gli uomini del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria hanno infatti, dato luogo, su ordine del procuratore capo Federico Cafiero de Raho e dei pm antimafia Antonio De Bernardo e Luca Miceli, alcuni provvedimenti di sequestro che risultano essere in corso di esecuzione, in Calabria, Emilia Romagna e Lombardia, riguardanti un ingente patrimonio, mobiliare, immobiliare e societario, stimato in circa 15 milioni di euro, riconducibile ad alcuni imprenditori operanti nel nord Italia, ritenuti contigui alle potenti ed efferate cosche di 'ndrangheta della fascia jonica e tirrenica della Provincia di Reggio Calabria. L'indagine, condotta sotto la direzione della D.D.A. di Reggio Calabria, prende le mosse da un'intensa attività investigativa volta a disarticolare un sodalizio criminale calabrese, dedito al controllo di diverse attività economiche fittiziamente intestate a soggetti compiacenti aggiudicandosi, anche con il ricorso di metodi mafiosi, appalti e/o sub-appalti per la realizzazione di opere importanti, tra cui alcuni padiglioni dell'Expo 2015.

Azienda chiave, dunque, è la Infrasit, acquistata nel 2013: era società inattiva, avviata nel 2012 ma priva di ricavi, dipendenti e movimentazioni finanziarie per lo stesso anno.

Ma sono diverse le aziende attenzionate dagli inquirenti: Zaffiri Costruzioni, Collimiti Costruzioni, Stella Srl, Archimede Srl, Bergamo Builder srl, Bora Industrial, C.G.M. costruzioni generali e manutenzioni

Il sodalizio criminoso, anche attraverso estorsioni ai danni degli imprenditori, riusciva a fagocitare e acquisire varie imprese, pur facendo risultare ufficialmente l'amministrazione in capo a soggetti compiacenti.

Tanti i lavori svolti in Lombardia, ma non solo: "Tramite lo stratagemma del subappalto, infatti, le società gestite dagli indagati, pur se intestate a prestanomi, neanche risultano esecutrici dei lavori effettuati anche se trattasi di appalti di notevole importanza e interesse anche mediatico, quali i lavori per la realizzazione dell'Expo, dell'Ipermercato di Arese (il più grande centro commerciale d'Europa) e l'alta velocità per Ferrovie Nord". Quasi tutti i lavori edili eseguiti dagli indagati sono stati appaltati alla società Coop. Viridia o Itinera Spa e successivamente subappaltati a carie ditte, tra cui la Infrasit.

I principali organizzatori dell'associazione di tipo mafioso sono, è scritto nelle carte dell'inchiesta "Rent", Salvatore Piccoli, nato a Catanzaro classe 1976, Giuseppe Gentile, nato a Gioia Tauro classe 1981, e Antonio Stefano, nato a Locri classe 1975. Questi soggetti ricevevano "costante aiuto da Graziano Macrì, nato a Locri classe 1991 e Pasquale Giacobbe, nato a Gioia Tauro classe 1969, nato a Gioia Tauro, braccio destro degli indagati per le attività da eseguire in Lombardia. Le indagini hanno anche evidenziato ulteriori aspetti criminali in capo a Massimo Cavaliere, detto Max, nato a Caltagirone classe 1966, nonché in capo ad altri soggetti che hanno coadiuvato i principali indagati nell'intestazione fittizia di bene e nella sostituzione di denaro e altre utilità provenienti da delitti non colposi".

Al centro dell'indagine "Rent" non ci sono "solo" i lavori dei padiglioni Cina ed Ecuador per l'Expo 2015, ma anche quelli delle Ferrovie del Nord, della Stazione di Malpensa e Milano, altri cantieri sparsi a Bologna, nel comasco, in Emilia Romagna, A Rapallo, ma anche in Marocco, Romania ed in particolare per l'impianto sciistico a Pitesti, per la scuole di Soveria Mannelli e Pianopoli, nel catanzarese.

Tutto gira intorno alla figura di Antonio Stefano, già arrestato nell'ambito dell'inchiesta "Acero" in quanto ritenuto uno dei promotori ed organizzatori della cosca Coluccio. Per la Dda è "il braccio destro di Giuseppe Coluccio" a cui Stefano rendeva conto, subito dopo la sua scarcerazione "della gestione della cosca, dello stato delle attività illecite e della destinazione dei proventi illeciti dell'attività delittuose del gruppo criminale. La sua caratura criminale è corroborata anche dai vincoli di parentela con il noto Vincenzo Macrì, di cui è genero, reggente alla morte dello zio Antonio Macrì, detto "Il Barone", fino a quando non ne prese il comando Francesco Commisso classe 1913, alias "u quagghia". Il ruolo di Antonio Stefano all'interno del gruppo criminale è quindi di primo piano e di assoluto rilievo ed è riconducibile al controllo diretto che operava la cosca Coluccio nell'attività imprenditoriali oggetto di indagine".

La Guardia di Finanza nell'informativa dell'inchiesta lo scrive a chiare lettere: "Non è ipotizzabile che la gestione occulta delle varie società, tra cui l'Infrasit e i relativi guadagni siano un'attività che Antonio Stefano stesse conducendo personalmente, senza il bene placito e il interessamento da parte della cosca Coluccio". E ciò gli investigatori lo desumono da un intercettazione captata il 22 gennaio del 2013 quando viene intercettato un importante colloquio fra Stefano e i fratelli Giuseppe e Antonio Coluccio.

Questo dialogo, è scritto nelle carte dell'inchiesta "Rent", " si colloca in un significativo momento storico nel vissuto criminale del gruppo indagato. Giuseppe Coluccio,dopo la sua scarcerazione chiama a rapporto il principale luogotenente del sodalizio, Antonio Stefano, per conoscere, sentire e capire cosa fosse realmente avvenuto durante l'assenza dei vertici. Antonio Stefano, deve rendere conto di tutti gli affari avviati in sua assenza, dallo spaccio di sostanze stupefacenti alla gestione delle attività imprenditoriali".

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Ecco il dialogo captato dalle microspie delle Fiamme Gialle:

Giuseppe Coluccio: "Tutti devono dare conto alla persona che al momento tiene le redini nelle mani. Quando manca quella persona poi...deve dare conto a quell'altra persona...se no si deve cominciare a sparare Antò".

Antonio Stefano:" qualsiasi passo che ho fatto, e te lo può dire Antonio (Coluccio) qualsiasi movimento che abbiamo fatto con Angelo, non abbiamo fatto mancare niente (dalla cassa comune).

Le stesse conversazioni intercettate, pur riguardando l'esecuzione di opere complesse, eseguite con l'impiego di notevoli mezzi, capitali e dipendenti, sono ridotte al minimo essenziale, spesso utilizzando un linguaggio criptico, privo di riferimenti specifici ("ci vediamo dove ci siamo visti l'altra volta", "dobbiamo parlare di quella cosa", "è venuto il tizio per quel lavoro da fare"). Chiaro segnale, per gli inquirenti, della consapevolezza da parte dei soggetti coinvolti di commettere il reato di reimpiego di capitali di provenienza illecita e della certezza di essere intercettati.

"È quindi impensabile che Antonio Stefano abbia potuto gestire quale socio occulto le società Infrasit ed Archimede e percepire parte dei ricavi- scrive la Finanza- senza il coinvolgimento diretto della cosca di appartenenza. Per questi motivi, si ritiene che le cosca Coluccio di Marina di Gioiosa Jonica, attraverso Antonio Stefano, abbia acquisito in modo indiretto il controllo e la gestione di varie società italiane e rumene, le quali erano titolari di autorizzazioni, appalti e subappalti, al fine di realizzare vantaggi ingiusti".