Referendum costituzionale, Sergio: "Serve motivo di riflessione"

"Serve una fase di riflessione per approfondire le ragioni del 'si' e quelle del 'no' al referendum costituzionale. Io credo che il Consiglio regionale debba intraprendere in qualche modo un'azione volta ad informare i cittadini e metterli in condizione di effettuare scelte consapevoli". Lo sostiene il consigliere regionale del Gruppo "Oliverio Presidente", nonché presidente della I Commissione "Affari istituzionali" Franco Sergio. Che aggiunge: "Concordo con chi sostiene che il premier Renzi abbia commesso un errore personalizzando il referendum e fornendo un assist a chi asserisce che il progetto è frutto di una fusione a freddo". Ma ecco perché il presidente Sergio, che si definisce "un democratico moderato e cattolico", si sta orientando a votare 'no': "Non sono d'accordo sui punti nodali della riforma. Mi riferisco al rapporto Stato-Regioni; al ruolo delle autonomie locali; al rischio della cancellazione dell'apporto dei corpi intermedi della società alle scelte strategiche del Paese e, last but not least, alla correlazione tra riforma e legge elettorale. Non sono d'accordo, quando si sostiene che i guasti istituzionali del Paese siano da addebitarsi all'eccessivo potere delle Regioni. Non si capisce perché, se fosse vera l'accusa, invece delle Province non si siano cancellate le Regioni che ora la riforma costituzionale mutilerebbe d'importanti funzioni, mettendo in sofferenza l'autonomismo dei territori e le loro rappresentanze. Mi chiedo perché, se si considerano le Regioni il male assoluto, tenerle in vita dopo circa 50 anni. E' evidente che la riforma cerca un capro espiatorio per catturare facile consenso, ma non è cosi che si fa il bene del Paese". Spiega Sergio: "La riforma, con lo scopo di verticalizzare il potere della decisione, penalizza i corpi intermedi che più di altri soggetti qualificano le società occidentali. Sono questi che costituiscono l'ossatura della società, l'articolazione democratica tra persone e Stato. Penso alla famiglia e, a seguire, alle aggregazioni promosse, per differenti obiettivi (sociali, economici, politici e culturali), come i sindacati, gli ordini professionali le associazioni di categoria, gli stessi partiti". Ancora Sergio: "Né può dare man forte alla riforma il fatto che spesso i corpi intermedi si siano comportati in maniera autoreferenziale. Un conto è correggere gli errori, un altro cancellare la loro funzione di mediazione, diffusione e coinvolgimento della società nell'esercizio del potere, così come esige la Costituzione e la stessa Dottrina sociale cristiana che diffidano di ogni decisionismo tecnocratico e della cultura dell'uomo solo al comando". Per Sergio, se la riforma andasse in porto, "con l' abolizione del Senato e l' 'Italicum' che prevede un largo premio di maggioranza al primo partito, di fatto verrebbe ridotto a zero il ruolo delle opposizioni. Inoltre, con l'elezione sicura dei capilista seguita da altri accorgimenti, offuscheremmo la democrazia partecipativa e i poteri di controllo". Per ciò che concerne l'architettura istituzionale immaginata dalla riforma, il presidente Sergio intravede la ricostituzione di "un neocentralismo che non è la risposta giusta alla complessità delle democrazie del nostro tempo". Commenta: "Scomparso il federalismo, lo Stato centrale si riprende poteri e funzioni che aveva decentrato a Regioni, Province, Comuni e poteri orizzontali, nell'illusione populistica che tutto ciò possa ridare efficienza al sistema. Frasi come 'modernizzare il Paese', 'velocizzare le procedure legislative', 'privatizzare strutture e assetti societari del nostro patrimonio: Poste, Anas, FF.SS' per fare cassa ma fregandosene delle esigenze dei cittadini e decretando la definitiva prevalenza del capitale finanziario a scapito della solidarietà e della sussidiarietà, non sono che suggestioni con cui si vuole fare concorrenza ai pentastellati, ma che debbono mettere in guardia chi ha a cuore le sorti della Repubblica".

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